Una spinta innovativa alla diagnosi precoce della schizofrenia arriva grazie alla scoperta nel sangue di due spie di questo disturbo, le cui cause restano ancora oggi in gran parte sconosciute: si tratta di due amminoacidi, i mattoncini che costituiscono le proteine, le cui concentrazioni cambiano già in quelle persone che devono ancora
sviluppare la malattia.
Il risultato, pubblicato sulla rivista Schizophrenia, si deve allo studio italiano guidato da Ceinge Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore di Napoli e Università Aldo Moro di Bari, con la collaborazione di Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, Università Federico II di Napoli, Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e Università Luigi Vanvitelli della Campania.
I dati dovranno essere confermati da ulteriori ricerche, ma potrebbero rappresentare un primo passo verso l’intervento precoce nella schizofrenia, che rappresenta uno dei disturbi psichiatrici con maggiori ricadute in termini di qualità della vita per chi ne è affetto e di costi per la salute pubblica. I ricercatori coordinati da Alessandro Usiello, di Ceinge e Università Luigi Vanvitelli, e da Antonio Rampino, di Università di Bari e Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bari, hanno esaminato 251 persone, suddivise in 4 gruppi in base al diverso stadio della malattia. I dati hanno evidenziato differenze importanti nei livelli di amminoacidi presenti nel sangue dei diversi gruppi, in particolare per due amminoacidi atipici chiamati D-aspartato e D-serina.
“Questi potrebbero rappresentare biomarcatori utili per tracciare gli stadi precoci di psicosi, prima che i sintomi della schizofrenia diventino clinicamente manifesti”, dice Usiello. “I nostri risultati – aggiunge Rampino – gettano le basi per un potenziale utilizzo di tali marcatori periferici nella diagnosi precoce”.
Due spie nel sangue per diagnosticare la schizofrenia: lo studio
Hanno contribuito anche l'Università Aldo Moro e il Policlinico
Pubblicato da: redazione | Mer, 8 Gennaio 2025 - 11:59
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