Una generazione tormentata che spesso non ha gli strumenti per raccontarsi. Una generazione con specificità tutte sue, in cui il senso di inadeguatezza sta diventando paralizzante. Ne parliamo con Vincenzo Neve, vice preside dell’Istituto alberghiero Majorana di Bari.
Depressioni frequenti, attacchi di panico e spesso gesti estremi, è davvero una generazione tormentata?
“Decisamente sì. La “generazione ansiosa” l’ha definita recentemente uno studioso americano in un interessantissimo libro in cui ha illustrato le sue ricerche sull’aumento di ansia, depressione, autolesionismo fino al suicidio derivante in particolare dall’impatto dei social e degli smartphone, con i loro “like” e il costante bisogno di conferme sociali”.
Quali i malesseri più evidenti?
“Sicuramente gli attacchi di panico e l’autolesionismo, in particolare femminile, una diffusa fobia sociale e un sempre maggiore rinchiudersi in se stessi. Un’ansia da prestazione notevole, in una società ipercompetitiva che chiede di essere continuamente performativi, esteticamente ed economicamente”.
In cosa questa generazione si differenzia dalla precedente?
“Alla fine uno si sente incompleto ed è soltanto giovane” scriveva Calvino: che la condizione giovanile sia problematica è lapalissiano, ma quella attuale è davvero una generazione con specificità tutte sue, in cui quel senso di inadeguatezza sta diventando paralizzante. Una generazione che ha perso due anni di vita col lockdown in un momento fondamentale del proprio sviluppo emotivo, che vive un mondo sconvolto dalla crisi climatica e in cui sono tornate prepotenti minacce di guerre addirittura nucleari. Ciò non toglie che è al tempo stesso una generazione che spesso a questi temi presta più attenzione di quelle precedenti, che si impegna nel volontariato e legge più dei genitori”.
La scuola può avere un ruolo determinante? In che modo?
“La scuola può avere e ha un ruolo determinante, non fosse altro che per la quantità di ore che vi passano i ragazzi. E’ il principale luogo della loro socializzazione, escludendo quelli virtuali, ed è un osservatorio privilegiato per l’elevato numero di adolescenti che abbiamo davanti. In famiglia uno, al massimo due figli possono riuscire a nascondere i loro problemi, complici anche la frenetica vita dei genitori, le distanze fisiche ed emotive e a volte il non voler vedere certi problemi. A scuola, con docenti che da anni si trovano ogni giorno davanti centinaia di studenti, con continui dissidi da risolvere e una pressione psicologica e burocratica non sempre facile da sopportare, certe questioni emergono più chiaramente. Aggiungendo che i finanziamenti del PNRR hanno permesso di attivare percorsi di assistenza psicologica e mentoring. Va da sé che senza la collaborazione con le famiglie la scuola non può far molto”.