Sulle lunghe attese in sanità contro le quali il ministro della Salute Orazio Schillaci ha annunciato un nuovo Piano Nazionale, “c’è un sistema confuso e oscuro, nel quale si mescolano le prime visite con i controlli, si chiudono le agende di prenotazione senza neppure darne motivazione, si creano rapporti poco chiari con i privati, i sistemi informatici non comunicano, i centralini non rispondono”. La conseguenza è che, come segnalano i cittadini, “si aspetta anche due mesi per visite urgenti o due anni per una mammografia di screening”.
A denunciarlo è l’ultimo rapporto Rapporto civico sulla salute 2023 presentato da Cittadinanzattiva al ministero della Salute che risale allo scorso anno. Dal report emerge come per prime visite specialistiche in una Classe B (breve), da svolgersi entro 10 giorni i cittadini hanno atteso anche 60 giorni per la prima visita cardiologica, oncologica e pneumologica. Senza codice di priorita’ , si arrivano ad aspettare 360 giorni per una visita endocrinologica.
Quanto ai tempi di attesa per visite specialistiche di controllo: una visita ginecologica con priorita’ U (urgente), da effettuare entro 72 ore è stata fissata dopo 60 giorni dalla richiesta. Per una visita di controllo cardiologica con priorita’ B (entro 10 giorni) i cittadini di giorni ne hanno aspettati 60. Una visita endocrinologica senza classe di priorita’ e’ stata fissata dopo 455 giorni, dopo 360 giorni una visita neurologica.
Quanto alle prestazioni diagnostiche sono stati segnalati 150 giorni per una mammografia con priorita’ B , ovvero da svolgersi entro 10 giorni, e 730 giorni per una in categoria P (programmabile). Lo stesso vale per gli interventi chirurgici, da quelli per tumore dell’utero alle protesi d’anca.
I cittadini, inoltre, “lamentano anche disfunzioni nei servizi di accesso e prenotazione, ad esempio determinati dal mancato rispetto dei codici di priorità , difficoltà a contattare il Cup, impossibilità a prenotare per liste d’attesa bloccate”. La quasi totalità delle Regioni, infine, non ha recuperato le prestazioni in ritardo a causa della pandemia, e non tutte hanno utilizzato il fondo di 500 milioni stanziati ad hoc nel 2022: il Molise ha investito solo l’1,7% di quanto aveva a disposizione, la Sardegna il 26%, la Sicilia il 28%.