Dalle prime luci dell’alba, i Finanzieri del Comando Provinciale di Bari stanno dando esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali nei confronti di 16 persone (8 in carcere, 8 agli arresti domiciliari), emessa dal G.I.P. del Tribunale di Foggia, su richiesta della Procura della Repubblica dauna. I soggetti destinatari del provvedimento cautelare sono indagati (accertamento compiuto nella fase delle indagini preliminari che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa), a vario titolo e in concorso tra di loro, per i reati di traffico di stupefacenti e corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio. L’odierna operazione costituisce l’epilogo di un’articolata attività di indagine, delegata al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria barese, che ha consentito di disvelare l’esistenza di una ramificata rete di approvvigionamento e successiva cessione di sostanze illecite all’interno del carcere di Foggia.
Le investigazioni eseguite hanno permesso di acquisire un imponente quadro indiziario nei confronti dei soggetti attinti dalle misure restrittive. In particolare, i meticolosi riscontri eseguiti hanno consentito di individuare il fondamentale ruolo svolto da un’infermiera – già tratta in arresto, nell’aprile 2023, nella flagranza del reato – che, sfruttando la propria “posizione di vantaggio” derivante dal prestare servizio presso l’istituto penitenziario, avrebbe reso possibile la sistematica introduzione nello stesso di droga destinata allo “spaccio”.
Nello specifico, sarebbe emerso che alcuni detenuti, appartenenti a “gruppi” criminali provenienti da diverse province pugliesi, avrebbero: – individuato il citato operatore sanitario quale referente per realizzare il disegno criminoso; – consegnato all’infermiera e al coniuge, avvalendosi della collaborazione di altri soggetti (per lo più parenti e amici dei reclusi), sia il materiale da introdurre (droga e in un caso un telefonino cellulare), sia le somme di denaro (comprese tra i 100 e i 500 euro per il singolo “incarico”) quale corrispettivo per la “disponibilità” offerta.
In particolare, i capillari approfondimenti investigativi hanno delineato le modalità adottate dalla “coppia” per “recuperare” (presso centri commerciali o attraverso veri e propri “ritiri a domicilio”) lo stupefacente da soggetti, in stato di libertà, che fungevano da “anelli di congiunzione” con i detenuti. Successivamente, come documentato dalle immagini del sistema di videosorveglianza della struttura carceraria e ulteriormente suffragato da relazioni di servizio della stessa polizia penitenziaria, la dipendente pubblica infedele consegnava, durante lo svolgimento dei propri turni di servizio, lo stupefacente ai detenuti.
Pertanto, la capillare attività investigativa svolta dalla polizia giudiziaria ha restituito un quadro indiziario solido, rivelando l’esistenza di un collaudato meccanismo illecito, funzionale ad “aggirare” le restrizioni legittimamente imposte dall’ordinamento penitenziario.