Salvatore Antonio Monda, assistente capo di polizia penitenziaria presso la Casa Circondariale “N.C. “Borgo San Nicola”” di Lecce, è morto l’11/07/2011 per carcinoma polmonare. Né lui , né i suoi familiari avevano mai fumato. Per vent’anni aveva invece subito il fumo passivo sul luogo di lavoro. Il giudice monocratico, Avv. Silvia Rosato, nella sua decisione ha ricordato che il codice civile “impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore”. Pertanto, spetta al datore risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali alla vedova del lavoratore morto per cancro ai polmoni da fumo passivo.
La vittima, che non aveva il vizio della sigaretta, è rimasta per anni esposta alle conseguenze delle abitudini altrui: l’amministrazione datrice non è riuscita a far rispettare il divieto. Per almeno sei ore al giorno l’agente sarebbe stato costretto a subire il fumo anche dei detenuti: il corridoio davanti alle celle era una «camera a gas», conferma un testimone; mentre l’amministrazione penitenziaria non è riuscita a garantire adeguate misure di prevenzione, complice l’infelice dislocazione delle celle e l’esposizione dei locali. Il poliziotto è morto a quarantaquattro anni, lasciando tre figli.
La coniuge dell’agente penitenziario, anche lei non fumatrice, ha ottenuto dal ministero della Giustizia un risarcimento di oltre 647 mila euro per il danno patrimoniale e di circa 294 mila per quello parentale. Il primo importo è determinato detraendo quanto la vedova ha ricevuto a titolo di prestazione d’inabilità di riversibilità, mentre il secondo viene calcolato in base alle tabelle del tribunale di Roma e non risulta soggetto ad alcuna decurtazione per le voci indennitarie e per gli emolumenti previdenziali riconosciuti dalla legge e riscossi dalla donna per il fatto-reato perché il danno è patito iure proprio dalla vedova.