Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Briciole”
“Il disco fuori con calma”. È così che Calcutta annuncia il suo ritorno sui palchi al pubblico che lo attende ormai da tempo.
L’uscita di un album della stella dell’Indie Pop era infatti già attesa dalla fine del 2022, ma nulla. La creatività a quanto pare richiede tempo, il giusto tempo. E così a partire da dicembre potremo vederlo su importanti palchi italiani ma per il suo disco ci sarà ancora da attendere.
Nel frattempo, ci toccherà ascoltare e riascoltare i suoi più grandi successi, proprio come l’ultimo album risalente al 2018, “Evergreen”. Già dalla copertina del disco è possibile rivedere a pieno l’artista; raffigura infatti Calcutta in mezzo ad un gregge di pecore che guarda davanti, immerso in un prato verde. Facile il rimando a “Del verde”.
“Evergreen” va ascoltato proprio distesi su un prato, soli o in compagnia, lasciandosi andare a quelle melodie apparentemente pacate, ma piene di emozione. Ciò che emoziona non è infatti la sua voce, ma i suoi tesi. Le parole sono sincere, quotidiane, come quotidiano è ciò che descrive.
“La gente mi chiede che cosa significhino i miei testi, è un’ossessione. Hanno paura di essere stupidi, paura di non capire. Secondo me tutti sappiamo ascoltare una canzone ed emozionarci. Poi però ci sentiamo in dovere di chiedere: “Perché mi sono emozionato? Non è che mi sono inventato tutto?” Certo che sì. Ed è proprio quella è la cosa bella: l’emozione.”
La musica vissuta in prima persona
Il bello della musica è la possibilità di poterla vivere in prima persona, adattare al proprio contesto, poterla cantare per sé o per gli altri. E chi non ha mai cantato a squarciagola “Paracetamolo”?
Il brano fin dall’esordio si rivela un gran successo. In meno di 24h oltre 150 mila visualizzazioni Youtube. Il ritornello entra in testa e ci resta “che se mi stringi così, sento il cuore a mille”. Paracetamolo parla del Duomo di Milano, del Mediterraneo, di un amore che fa venire la tachicardia.
Il cantautore racconta meglio di chiunque altro gli anni di questa generazione, e che il suo stile musicale piaccia o no, che lo si voglia o no, ogni suo brano riesce a far centro.
“Pesto” è uno dei tanti esempi che si potrebbero fare. “Pesto” è il terrore di legarsi e poi rimanere soli, di riconoscere di avere trent’anni ma voler aspettare ancora e non volersi svegliare, almeno per qualche ora. E’ l’incapacità di scegliere, di seguire i propri istinti, di non avere il coraggio di chiedere di restare ma nemmeno di andar via.
Calcutta parla di una generazione fioca che non riesce a stringere legami e si nasconde nel sesso ( “Orgasmo”) , che si vergogna di mostrare le proprie debolezza (“Cosa mi manchi a fare”).
Calcutta è “mainstream”
Quello che ci piace di questo artista “mainstream”, classe ’89, nato a Latina, è che il successo pare non lo abbia minimamente toccato. Il passaggio da sconosciuto a star della musica italiana, sembra non aver sfiorato oltre che i suoi pensieri, la sua personalità, il suo modo di essere, di presentarsi e parlare con il pubblico.
Resta spontaneo, originale, non vuole e non ha bisogno di omologarsi a nuove correnti “A me interessa solo fare cose spontanee. Io ho rischiato perché non sapevo cos’altro fare”.
Non recita la parte del “mainstream”, lui è così e forse è per questo che è riuscito ad entrare nella testa e nel cuore di tanti oltre che nelle classifiche di Spotify.