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Liceale dislessica bocciata, condannato liceo di Bari. La mamma: “Ignorati i protocolli per aiutarla”

Pubblicato da: Rosanna Volpe | Lun, 7 Novembre 2022 - 07:30

Parole pesanti quelle pronunciate dai giudici del Tar che in otto pagine hanno dato ragione a una famiglia barese che ha fatto ricorso dopo la bocciatura della loro figlia, iscritta al terzo anno, di un Istituto scolastico di Bari. A essere bocciata, nei fatti, è stata la scuola che non ha considerato il disagio della studentessa. E non solo.

Ma facciamo un passo indietro. E’ in difficoltà Francesca (nome di fantasia). Tra quei banchi di scuola non è serena. Inutili le tante ore trascorse sui libri a casa. I mesi scorrono e la situazione peggiora. Dopo una pagella disastrosa, Francesca parla con i genitori: “Ho bisogno di aiuto”. Detto, fatto, la famiglia si stringe attorno a Francesca ed è pronta a cercare una soluzione. La ragazza si sottopone alla visita da una psicoterapeuta cognitivo-comportamentale a metà di dicembre. Chiara la diagnosi: Francesca ha “difficoltà di memoria di lavoro e velocità di elaborazione statisticamente rilevanti. Rispetto agli apprendimenti si conferma deficit di velocità di lettura F81.0 Dislessia, di velocità di scrittura F81.1 e delle abilità aritmetiche F81.2. È possibile che la paziente impieghi più tempo nella memorizzazione e necessiti di tempo per la lettura, la scrittura e il calcolo. Si rilascia per gli usi consentiti dalla legge in materia di Piani didattici individualizzati in ambito scolastico”.

“Ho immediatamente comunicato la diagnosi alla scuola attraverso una mail – racconta la mamma di Francesca a Borderline24 – nonostante altre tre mail di sollecito e altre richieste verbali di incontro, la scuola è rimasta inadempiente per un lungo periodo”. A fine febbraio era pronto il  Piano Didattico Personalizzato (PDP). Un ampio lasso di tempo che ha di fatto compromesso quasi metà del secondo quadrimestre, al termine del quale gli scrutini sono stati effettuati senza tenere in considerazione la diagnosi di dislessia, conosciuta dall’Istituto già da dicembre 2021.

“Nei mesi precedenti alla comunicazione del Pdp – racconta ancora la mamma – noi abbiamo fatto seguire nostra figlia in un dopo scuola dove gli insegnanti hanno seguito il piano didattico personalizzato per Francesca. Dalla scuola, invece, si è alzato un muro sempre più alto. Mi hanno detto che la certificazione fornita dalla psicoterapista non fosse sufficiente: come ad insinuare che avrei montato tutto per giustificare le lacune di mia figlia”. Intanto i mesi trascorrono, finisce l’anno e Francesca ha tre debiti: matematica, fisica e inglese. Studia durante tutti i mesi estivi. Non basta: a settembre viene bocciata.

La famiglia fa ricorso, difesa dagli avvocati Mariano Alterio e Giovanni Di Rella, e vince. Secondo quanto si legge nella sentenza del Tar, infatti, “le istituzioni scolastiche devono garantire l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico le quali tengano conto anche di caratteristiche peculiari dei soggetti, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate; si devono introdurre strumenti compensativi, ivi compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere. Ne consegue che l’adozione di una didattica individualizzata e personalizzata costituisce un vero e proprio obbligo che le istituzioni scolastiche non possono esimersi dall’osservare, adempimenti questi ultimi il cui rispetto avrebbe dovuto essere considerato ancora più stringente in relazione alla pluralità delle patologie riferite al caso di specie”.

Una sentenza definita esemplare che nei fatti punisce una scuola che è stata inadempiente, che non ha seguito il Pdp. Il Ministero dell’Istruzione e l’Istituto scolastico sono stati condannati al pagamento delle spese di lite in favore dei ricorrenti di  1.500 euro oltre accessori come per legge. Francesca non ha perso l’anno. I primi di ottobre è tornata nella sua classe in attesa della sentenza. I toni, in quelle poche settimane sino alla decisione del Tar, non sono stati dei migliori. Un giorno, durante una prova scritta di inglese, è stata invitata a uscire dalla classe perché il compito riguardava il commento di un film proiettato in sua assenza. “L’hanno lasciata due ore da sola nel corridoio – conclude la mamma – è inaccettabile”. Dopo la sentenza del Tar, Francesca frequenterà un altro liceo di Bari con una ferita che difficilmente sarà rimarginata. Perché una scuola, come una casa, deve essere un luogo dove sentirsi al sicuro. Evidentemente non è così. Non per tutti. Non in questo caso.

 

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