Sono 43 i soggetti indagati per aver preso parte ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis 1 c.p..
La complessa operazione è stata portata a termine nei Comuni di Bitonto e Bari, da oltre 300 agenti della Polizia di Stato, con il supporto di unità eliportate, cinofili, Reparti Prevenzione Crimine. Secondo l’impostazione accusatoria, ricostruita dalle attività d’indagine della Squadra Mobile di Bari e del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Bitonto, gli indagati avrebbero costituito, diretto e partecipato ad un’associazione denominata clan “Conte”, quale propaggine in Bitonto del clan “Capriati” di Bari, finalizzata alla cessione di cocaina, marijuana ed hashish, organizzata, nella cittadina pugliese, in due distinte piazze di spaccio: la prima e più importante, vero e proprio quartier generale del gruppo, era quella definita “Zona 167”, ubicata in via Pertini, protetta da portoni blindati; l’altra, di nuova costituzione grazie all’apporto di alcuni soggetti “scissionisti”, sita invece nel centro storico di Bitonto, area in cui da sempre era operativo l’avverso gruppo dei “Cipriano”, sita in via Arco di Cristo e conosciuta come la piazza del “Ponte”.
Il provvedimento cautelare si fonda su un compendio gravemente indiziario secondo cui CONTE Domenico emergerebbe quale figura di vertice del clan, mentre D’ELIA Mario, quale suo braccio destro, avrebbe anche avuto il compito di gestire il gruppo qualora il CONTE fosse stato arrestato. Gravi indizi di colpevolezza sono stati ritenuti sussistenti a carico di BONASIA Francesco, GIORDANO Damiano e PALMIERI Giovanni, quali organizzatori e dirigenti, mentre a carico dei restanti 38 indagati, gli indizi riguardano il ruolo di partecipi con vari ruoli (vedette, spacciatori, trasportatori).
Le indagini furono avviate nel settembre del 2017, allorquando, nella cittadina di Bitonto, si verificarono numerosi scontri armati tra i gruppi “Conte” e “Cipriano”, per il controllo delle piazze di spaccio di sostanze stupefacenti ed in particolare per il monopolio nella zona del “Ponte”. Gli approfondimenti investigativi che fecero luce sulla morte di Anna Rosa Tarantino, (innocente vittima, attinta da colpi d’arma da fuoco in occasione di uno scontro a fuoco causato dal controllo del territorio), dimostrarono l’esistenza di una vera e propria guerra finalizzata al controllo militare dei luoghi di cessione delle sostanze stupefacenti, insistenti, in particolare, nel centro storico di Bitonto, esattamente nella zona prossima a via Arco di Cristo, ove, a cura degli odierni arrestati, era stata allestita una base logistica, dotata anche di sistemi di videosorveglianza, poi smantellata dagli investigatori.
Nell’occasione, oltre a far luce sui responsabili degli specifici e violenti episodi delittuosi, oggetto di altri procedimenti, si è dato corso ad un’indagine che, secondo l’impostazione accusatoria accolta dal Gip (fatta salva la valutazione nelle fasi successive con il contributo della difesa), ha accertato come, nella città di Bitonto, fosse presente uno dei più organizzati gruppi di spaccio della Regione. Le indagini, arricchite dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di Giustizia, si sono avvalse di numerosissimi riscontri effettuati sul territorio, con sequestri di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, armi e munizionamenti ed arresti in flagranza di reato. L’organizzazione armata era strutturata al pari di una vera e propria azienda, in cui i vari adepti venivano remunerati per il loro lavoro con somme settimanali paragonabili a veri e propri “stipendi”.
E così, nelle piazze di spaccio, dove si lavorava in turni articolati nell’arco delle 24 ore, per ogni settimana spettavano: dalle 300 alle 500 euro per le vedette, considerata attività a basso rischio (“…li beccavano la Polizia e non avevano niente addosso….…”); 1.000 euro allo spacciatore che, in possesso del borsone zeppo di stupefacenti, si occupava della vendita al dettaglio e monitorava il sistema di videosorveglianza; 1.500 euro alle guardie armate dislocate sui tetti con il compito di difendere la roccaforte dalle altre organizzazioni criminali; 1.500 euro al responsabile della piazza che si occupava anche dei rifornimenti, per il quale, a seconda della buona gestione della piazza, poteva giungere un “bonus” mensile fino ai 5.000 euro. L’organizzazione annoverava anche i “…custodi della droga…”, i “custodi del denaro”, gli “…steccatori…” ed i “corrieri…”; ed ancora i referenti per la contabilità (rinvenuta e sequestrata dagli investigatori). Ognuno percepiva un suo stipendio tanto che, ogni venerdì, nella sede principale dell’organizzazione in via Pertini, protetta da porte blindate, il capo in persona provvedeva a consegnare la retribuzione per il lavoro prestato.
“… un’azienda…una ditta…”, così viene definita l’organizzazione da parte di un collaboratore di Giustizia. Egli ha fra l’altro, rivelato che il capo, in occasione delle festività, da vero manager, elargiva gratifiche in denaro, bottiglie e panettoni. Ma imponeva, al contempo, rigide regole: orari di rientro a casa, responsabilità diretta del materiale affidato, fosse droga o armi, rigida compartimentazione delle informazioni all’interno del gruppo (come i luoghi di occultamento della droga e delle armi), per garantirne l’impenetrabilità.
Dai gravi indizi raccolti, emerge altresì che, grazie ad una accorta strategia commerciale – che prevedeva, rispetto alla “concorrenza”, migliore qualità e quantità – l’organizzazione avrebbe garantito introiti “… dai 20 ai 30 mila euro al giorno…”, riuscendo a smerciare, mensilmente, circa 30/40 kg. di stupefacenti tra cocaina, hashish e marijuana, ma anche amnesia (“…un’erba che ti fulmina il cervello…”). La Polizia di Stato è anche riuscita ad individuare e smantellare una fitta rete di videosorveglianza abusivamente installata nelle pubbliche vie, nei pressi delle due roccaforti dello spaccio, rete che, attraverso il monitoraggio delle principali vie di accesso, permetteva di controllare e prevenire eventuali interventi delle F.F.O.O. o di gruppi avversi, e di vigilare sull’operato degli adepti e quindi sull’andamento “dell’attività aziendale”.
Da quanto emerso dal compendio indiziario, l’organizzazione si riforniva continuativamente da importanti grossisti di Bari (quartieri Madonella e Japigia) e Terlizzi.