Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Senza fine”. Un ex pittore che dice di sé di essere “inciampato” nel successo facendo musica. Per Gino Paoli la musica non è altro che portar fuori tutto quello che si ha dentro, emozioni, sentimenti, e chi li ha dentro li riconosce nei suoi brani.
Per lui nelle parole stesse c’è già musica. Il suo compito è solo quello di metter giù la modulazione che sente nelle parole e lasciare che la musica resti ambigua, che la gente possa trovarci quello che cerca.
Nel ’60 realizza “La Gatta”, un pezzo autobiografico che racconta proprio della soffitta sul mare dove viveva e che riscuote un successo inaspettato: oltre 100 mila copie vendute a settimana. Una canzone che racconta un’intima calma, che si potrebbe ascoltare e riascoltare per ore ed ore.
Negli stessi anni Gino Paoli scrive un brano diventato leggenda “Il cielo in una stanza”. Gli alberi infiniti, il cielo, un organo che vibra … ancora oggi questo è tra i brani più romantici e noti della musica leggera italiana. È la Mazzini però ad inciderlo per prima, a piangere dopo averlo registrato, a sentire l’emozione data da quello che poi sarebbe diventato un successo mondiale.
Con estrema eleganza e delicatezza, il brano racconta di un orgasmo, un gesto umano, ma mistico, che proietta in una dimensione dove sei tutto e niente. Ed è per questo che per raccontarlo Gino descrive tutto quello che c’è attorno, perché l’amore può nascere dovunque, anche in un bordello, superando ogni confine e barriera.
Il tono di Gino Paoli è caldo, calmo, espressivo, intenso, come un altro dei suoi successi: “Sapore di Sale”. Scritta da lui stesso e arrangiata da Ennio Morricone, è considerata tra le canzoni più iconiche degli anni ’60. Dietro una musicalità leggera nasconde una sofferenza e di amore, tratti da una sua reale e tormentata storia d’amore con Stefania Sandrelli. Descrive una tipica vacanza al mare, una coppia, il tempo che passa lentamente ma inesorabile, la bellezza effimera dei giorni d’estate che permette ai due di staccarsi dal mondo reale fino a quando però non arriverà la fine.
È proprio a causa di queste forti tensioni in ambito sentimentale che tuttavia Gino Paoli nel ’63 tenta il suicidio. Lo definisce “l’unico, arrogante modo dato all’uomo per decidere di sé”. Si spara così un colpo di pistola al cuore, ma il proiettile non lo uccide, buca il cuore e si conficca nel pericardio, dov’è tuttora incapsulato.
La dimostrazione è che forse nemmeno così si può decidere per davvero, o che forse Gino ha ancora altra bellezza da regalare al mondo.