“Non è normale che sia normale! Non smetto di ripeterlo mai, nemmeno quando non sono vittima diretta di questo sistema ammalato. Ieri però lo sono stata e voglio raccontarlo quanto meno per ribadire che no, non è normale che sia normale”. Inizia così il racconto di una giovane barese, vittima (e non è la prima) del racket dei parcheggiatori abusivi nel centro di Bari, al molo San Nicola.
Un business della mala che continua a prosperare. Italiani o stranieri, chiedono il “contributo” per il caffè per garantire che nessuno faccia danni all’automobile: “Non è normale arrivare in uno spazio qualunque della città adibito al parcheggio ed essere avvicinati da un uomo che non chiede, ma afferma “Un euro”. Non deve chiedere perché per lui è prassi ricevere l’obolo. Per me invece non lo è e non accetto che lo sia”.
“Non gli do alcun euro – prosegue – e il suo sguardo è più che eloquente. Come spiegare una minaccia così velata? Come dimostrarla? Impossibile, perché anche questa è prassi consolidata, una regola non scritta, non detta, ma che tutti conosciamo bene: “Non mi paghi? Ok, ma poi non è detto che ritrovi la macchina così come l’hai lasciata…”. Non serve dirlo. Lo sai già. E il fatto di saperlo ti carica di quella responsabilità per cui “Se tu non paghi, devi aspettartelo. È normale!”. Quindi alla fine, se ti danneggiano l’auto ti senti anche in colpa per non aver piegato la testa a cercare ‘due spicci’ e non aver accettato l’intimidazione di chi evidentemente si sente legittimato a delinquere”.
La giovane prosegue: “E la cosa più amara di tutte è la reazione delle forze dell’ordine, che sminuendo la questione con un paternalistico “Sa quante cose peggiori vediamo noi? Purtroppo funziona così”, coronano definitivamente l’isolamento del cittadino difronte alla sopraffazione del criminale. Quello che è accaduto, accade ovviamente in tutte le città italiane: io ieri ero a Bari, al Molo San Nicola, ma in generale, la mia riflessione va a tutte quelle storie di cittadini abbandonati a loro stessi, lasciati soli ad affrontare quelle malattie sociali che le istituzioni non riescono ad affrontare; va alle ingiustizie come quella alla Pecora Elettrica a Roma, non perché un graffio alla macchina sia paragonabile ad un incendio reiterato di una libreria, ma perché la mentalità che ne è alla base è la stessa strisciante, arrogante, invisibile, eppure tangibile e inarrestabile”, conclude.