Avrebbero concesso finanziamenti ai loro clienti più importanti, tutti grossi gruppi imprenditoriali del territorio, a patto che una parte di quei soldi fosse usata per acquistare azioni e titoli della Banca popolare di Bari. Il valore delle azioni così vendute, di fatto comprate con fondi della banca stessa, sarebbe poi stato inserito indebitamente nel «patrimonio di vigilanza» così falsificando e sovrastimando la situazione economica dell’istituto di credito.
In questo modo gli ex dirigenti della Popolare di Bari avrebbero ingannato Bankitalia e tutti gli altri soci presentando una solidità finanziaria inesistente. Il «profitto ingiusto» di queste operazioni ammonterebbe a 16 milioni di euro, oggi sequestrati dalla Guardia di Finanza a Gianluca Jacobini, ex condirettore della Popolare di Bari, Giuseppe Marella e Nicola Loperfido, rispettivamente responsabili dell’Internal Audit e della Direzione Business dell’istituto di credito barese, commissariato nel dicembre 2019.
I reati ipotizzati dalla Procura di Bari sono ostacolo alla vigilanza e false comunicazioni sociali e fanno parte di un nuovo filone d’inchiesta che si aggiunge alle indagini già aperte, almeno una decina, dalla magistratura barese sulla presunta malagestione dell’istituto bancario nell’ultimo decennio, nelle quali gli ex amministratori e funzionari rispondono di falso in bilancio, falso in prospetto, bancarotta, corruzione, truffa, falsa testimonianza e maltrattamenti.
A coordinare tutte le indagini è il procuratore aggiunto di Bari Roberto Rossi con un team di altri tre magistrati, Savina Toscani, Federico Perrone Capano e Lanfranco Marazia. Una di queste inchieste ha portato lo scorso 31 gennaio all’arresto di Gianluca Jacobini, oggi destinatario del sequestro, e di suo padre Marco, ex presidente della banca, entrambi ancora agli arresti domiciliari.
In questo nuovo fascicolo risulta per la prima volta indagato lo stesso istituto bancario, per la responsabilità amministrativa degli enti, ma nei suoi confronti non si è proceduto a richiesta di sequestro «in virtù dell’intervenuto commissariamento da parte dello Stato». Il cuore dell’inchiesta sono le cosiddette «operazioni baciate», cioè «finanziamenti, spesso offerti a tassi di interesse più vantaggiosi – spiega il gip del decreto di sequestro – , erogati da una banca a un cliente a patto che questi acquisti azioni della banca stessa. La concessione di un finanziamento da parte di una banca in correlazione con l’acquisto di sue azioni sovrastimerebbe il capitale, dando ai terzi una visione di solidità che non corrisponde a quella reale». A questi clienti, inoltre, sarebbero stati fatti sottoscrivere mandati irrevocabili a vendere le azioni e così, «all’atto del rilascio del prestito, in combinazione con la stipula del mandato, si assiste, di fatto, – spiega il giudice Francesco Mattiace, condividendo l’ipotesi della Procura – ad una completa traslazione del rischio in capo a BpB». (Ansa)