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Bari, faida a Japigia: braccio destro del boss Parisi costretto a fuggire – VIDEO

Pubblicato da: redazione | Ven, 25 Ottobre 2019 - 08:48

Guerra intestina ai gruppi criminali di Japigia, con omicidi e “stese” per strada in puro stile camorristico a cui si aggiungono traffico d’armi, droga, rapina ed estorsione. A Bari alle prime luci dell’alba, la Squadra Mobile ha eseguito un’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, emessa dalla Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bari su richiesta di questa Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di 24 esponenti del clan Parisi – Palermiti e del gruppo Busco di Japigia.

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Le indagini condotte dalla Sezione Reati conto la Persona si sono sviluppate a seguito di alcuni omicidi perpetrati nei primi mesi del 2017 nel quartiere Japigia di Bari, roccaforte del clan. Ecco gli episodi incriminati e le indagini, estremamente complesse, hanno provato l’esistenza di un collegamento tra i fatti di sangue, permettendo di individuarne le cause e gli autori.

I fatti

La sera del 17 gennaio 2017, a pochi metri dal Liceo Scientifico Gaetano Salvemini, Barbieri Francesco detto “U’ varvir” (di anni 40) venne freddato mentre era alla guida della sua Fiat Freemont. Il sicario, a bordo di uno scooter guidato dal complice, colpiva la vittima al tronco e alla testa con una pistola semiautomatica calibro 9×21 mm;

Il 6 marzo 2017, in via Peucetia, venne assassinato Gelao Giuseppe (di anni 39) e venne gravemente ferito Palermiti Antonino (di anni 31), nipote di Eugenio detto “U’ nonn” (di anni 65), esponente di vertice del clan PARISI. I quattro sicari, nell’agguato, impiegavano una mitraglietta “Skorpion” 7.65 mm ed una pistola semiautomatica 9×21 mm;

Nel tardo pomeriggio del 12 aprile 2017, un commando munito di un fucile d’assalto AK 47 Kalashnikov e di 3 pistole semiautomatiche 9×21 mm, a bordo di un’Alfa Romeo 147 rubata, trucidava in via Archimede DE SANTIS Nicola detto “Nico il palestrato” (di anni 29).

Le dinamiche di potere

Si tratta in effetti di una serie di azioni e risposte sviluppatesi all’interno del clan Parisi – Palermiti, che non si è consumata solo nei tre omicidi di cui si è detto, ma anche in una lunga serie di violenze che hanno alla fine portato il gruppo facente capo a Busco Antonio a doversi forzatamente allontanare da Japigia.

Era accaduto che, nell’ambito dell’ampia compagine denominata “clan Parisi”, stanziata nella cd. zona 45 del quartiere Japigia (“quadrilatero”), Busco Antonio (che aveva iniziato la carriera criminale nel clan Capriati), affiliatosi a Parisi Savino, aveva conquistato a poco a poco un ruolo dominante all’interno del clan, anche approfittando del lungo periodo detentivo sofferto da “Savinuccio”.

L’ascesa non era gradita agli esponenti più vicini al gruppo di Palermiti Eugenio (stanziato nella porzione del quartiere Japigia più vicina al mercato ortofrutticolo di via dei Caduti Partigiani), che in più occasioni entravano in contrasto col BUSCO.

Francesco Barbieri, considerato uno dei più validi spacciatori di cocaina al minuto di Bari, che per anni aveva smerciato circa 20 kg. di cocaina con cadenza mensile, acquistandoli dal gruppo Palermiti, si era allontanato dai Palermiti (Milellaera detenuto), avvicinandosi al Busco, acquistando la droga da lui. Pochi giorni dopo Barbieri veniva assassinato.

Le prime indagini sulla droga sono sfociate nella operazione “Brother” e la cattura di Busco Antonio, Citarelli Michele ed altri 7 imputati eseguita a febbraio 2019.

Il 6 marzo 2017, tocca a Gelao Giuseppe e Palermiti Antonino, che vengono colpiti mentre alla guida dei rispettivi motocicli si allontanavano dal luogo di ritrovo abituale, un box nello stabile di Milella e di Ruggeri, in via Peucetia.

Le indagini hanno accertato che il commando era composto da Busco Antonio, Monti Davide, Signorile Giuseppe e De Santis Nicola. Gelao perdeva la vita, mentre Palermiti riusciva a fuggire nonostante le ferite all’addome e alla gamba.

Con una delle chiavi trovate addosso al cadavere di Gelao gli investigatori riuscivano ad aprire il box nella sua disponibilità, in via Santa Teresa, nel quale vennero sequestrati tre motocicli rubati, più di 100 grammi di cocaina, un giubbotto antiproiettile, caschi, guanti ed una scatola di munizioni con all’interno 23 cartucce 9×21 mm. Il ritrovamento delle munizioni si rivelava particolarmente importante. Infatti, le indagini balistiche della Polizia Scientifica hanno dimostrato non solo che le cartucce sequestrate, particolarmente rare e del tipo “black mamba”, erano uguali a quelle utilizzate per uccidere Barbieri, ma anche che presentavano lo stesso conio di produzione, lasciando ipotizzare il coinvolgimento del Gelao nell’omicidio Barbieri.

L’ulteriore reazione si consuma il 12 aprile 2017: De Santis Nicola era in compagnia di Busco, Monti e Signorile sotto casa dell’ultimo, in via Archimede; un gruppo di sicari, a bordo di un’Alfa Romeo 147 rubata, coglievano il gruppo, aprendo il fuoco. Busco, Monti e Signorile riuscirono a fuggire, mentre De Santis, armato di pistola e alla guida di una moto di grossa cilindrata, cercò di dileguarsi, ma venne inseguito e raggiunto dai colpi di arma da fuoco, morendo a pochi metri dal Liceo Scientifico Salvemini.

Le conclusioni

Il primo dei tre omicidi, quello di Barbieri, non rappresentava solo una crudele punizione nei confronti di quest’ultimo, ma rappresentava un forte segnale indirizzato a Busco che, all’interno del clan, doveva essere ridimensionato. Al contrario, BUSCO reagiva con altrettanta violenza, uccidendo Gelao e ferendo Palermiti Antonino, forse vero obiettivo dell’azione. Tra gli obiettivi vi era certamente anche Milella Domenico, nel frattempo scarcerato, che si era da poco allontanato.

La volante intercettava e bloccava, due ore dopo l’omicidio, Monti e Signorile, a cui venivano sequestrati i cellulari, che venivano analizzati e che permettevano di ricostruirne gli spostamenti, perfettamente compatibili con la consumazione dell’omicidio e l’allontanamento dalla scena del crimine. Anche il prelievo dei residui dello sparo risultò positivo sulla mano del Monti.

E ancora, i quattro sicari venivano riconosciuti da Palermiti Antonino e in seguito dagli altri componenti del clan (in primis Milella Domenico), attraverso la visione delle videocamere installate dal sodalizio sul perimetro dello stabile del Milella e del Ruggieri e attraverso le visione delle altre telecamere disseminate nel quartiere.

Da quel momento iniziava nel quartiere Japigia una caccia all’uomo. L’omicidio di De Santis Nicola ha costituito la risposta del gruppo Palermiti al fatto di sangue del 6 marzo precedente.

A questa serie di scontri armati sono seguite una serie di azioni di forza tese a cacciare Busco ed i suoi da Japigia, in perfetto stile mafioso, per il controllo incontrastato del territorio: tentativi di rintracciare e ad assassinare Busco, Monti e Signorile, nonché di allontanare dal quartiere Japigia tutti i loro familiari ed anche il Di Cosimo Giovanni (risultato a loro vicino), incendi di autovetture (dei familiari di Busco e di Signorile , nonché della vedova di Barbieri e di sua sorella, colpevoli di aver augurato sui social networks, ai responsabili dell’assassinio del congiunto, analoga fine).

E ancora danneggiamenti ed incendi di immobili (la case a Japigia e a Torre a Mare di Busco Antonio e Signorile Giuseppe) e persino “stese”, in puro stile camorristico, come ad esempio quella della notte del 27 maggio 2017, in via Guglielmo Appulo, messa in atto da più di dieci persone armate, nei confronti di DI COSIMO Giovanni, il quale già ristretto agli “arresti domiciliari”, veniva di fatto costretto a tornare nel suo quartiere originario, Madonnella, e dopo ulteriori incursioni, ad evadere e rifugiarsi in Albania, dove recentemente è stato arrestato.

Altro atto di forza viene compiuto a danno di Signorile Giovanni (di anni 51), padre di Giuseppe il “Gommista”: durante lo stato detentivo del figlio gli vengono rapinate due autovetture in officina, per la cui restituzione è costretto a pagare 25.000 euro.

Le imputazioni cautelari riguardano anche una serie di delitti di cessione, detenzione e porto di armi da fuoco, nonché evasioni dagli “arresti domiciliari”. La fase esecutiva dell’operazione ha interessato anche le province di Roma, Lecce, Rimini e Chieti. Va ricordato che alcuni importanti risultati investigativi, già noti alla cronaca giudiziaria, erano già stati conseguiti attraverso le indagini.

I fatti principali

  1. arresto in flagranza di STRAMAGLIA Nicola, ABBRESCIA Francesco e SILECCHIA Domenico, che la sera del 26 aprile 2017, armati di tre pistole (due semiautomatiche ed un revolver) ed una mitraglietta (UZI 9×21 mm), si accingevano a compiere un agguato in danno di BUSCO, SIGNORILE e MONTI;

  2. L’8 settembre 2017, la Sezione Omicidi perquisiva la casa della famiglia DIOMEDE, vicina di casa di MILELLA e di RUGGIERI che detenevano, ben occultate nelle mura, le armi del clan. Nel corso della perquisizione furono anche rinvenuti documenti afferenti la contabilità dell’attività di spaccio, relativo alle ingenti cessioni di stupefacenti del sodalizio e la somma contante di 25.000 euro;

  3. sequestro, il 13 settembre 2017, di circa un milione di euro di BUSCO Antonio, occultato all’interno delle mura di casa di una parente insospettabile nel quartiere Japigia;

  4. fermo disposto dalla DDA ed eseguito dai CC di Bari, il 28 settembre 2018, di MILELLA Domenico e RUGGIERI Michele per detenzione illegale di armi da fuoco (sette pistole e una mitraglietta UZI) e centinaia di cartucce, in concorso con DIOMEDE Giovanni (di anni 56) e sua figlia DIOMEDE Serafina (di anni 30);

  5. operazione “Brothers”, eseguita l’8 febbraio 2019, che ha disarticolato la rete di spaccio gestita da BUSCO Antonio, attraverso l’applicazione di misure cautelari personali nei confronti di nove persone ed il sequestro di diversi chili di droga, hashish e cocaina.

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