Nel panorama sportivo, il reato di doping può essere commesso anche da soggetti diversi dagli atleti Ebbene, ad esempio, rientra in questo ambito l’ipotesi di procacciamento, somministrazione, assunzione o favoreggiamento dell’utilizzo di farmaci o sostanze dopanti di cui all’art. 9 comma 1 della legge 376/2000, il quale dispone: “Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, e’ punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645 chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ri-compresi nelle classi previste all’art. 2, comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le pre-stazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze.” Ne consegue che nella sfera penale, vi è una comparazione tra l’assunzione della sostanza dopante da parte dell’atleta e il favorire l’uso delle stesse da parte di soggetti terzi, prevendo un’equiparazione legislativa affine a quella per i reati in materia di sostanze stupefacenti.
L’ipotesi della somministrazione, invece, comprende infatti ogni tipo di consegna, distribuzione o vendita a qualsiasi titolo, sia oneroso che gratuito, di una sostanza con il fine di un consumo o utilizzo immediato da parte dell’atleta.
Altra condotta prevista dall’art. 9 di cui sopra è quella di chi “favorisce comunque l’utilizzo” di sostanze o farmaci, in altre parole chi materialmente ma anche psicologicamente facilita l’utilizzo e la diffusione del doping. Nell’ambito di questa fattispecie si rinvengono i comportamenti del medico che mette a disposizione dell’assuntore un locale o un vano medicinali, o il gestore di un impianto sportivo che, non pur non fornendo direttamente le sostanze, predispone alcuni locali per poter fare uso di determinate sostanza in tranquillità e sicurezza.
Come ampliamente esposto nei casi che interessano l’accusa dell’atleta perché sussista il reato è, senza dubbio, necessario che la sostanza in questione abbia la concreta capacità di alterare le condizioni psicofisiche dell’atleta con il fine di migliorare prestazione agonistica dello stesso oppure di alterarne i risultati del test antidoping.
Ad ogni buon conto, per questo tipo di reato esistono circostanze aggravanti (art. 9 comma 3) che stabiliscono l’aumento della pena fino ad un terzo, ovvero: 1) se dal fatto deriva un danno per la salute dell’atleta, 2) se il fatto è commesso ai danni di un minorenne, 3) o se il soggetto accusato risulta essere un dipendente del CONI o di una federazione sportiva nazionale o di associazione, ente o società riconosciuta dallo stesso CONI, o ancora se l’incolpato è esercente una professione sanitaria.
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