Nel 2018 ogni quindici ore un amministratore pubblico ha subito un atto intimidatorio: un fenomeno che ha coinvolto tutte le regioni italiane (tranne la Valle d’Aosta), 84 province e 309 Comuni, in particolare nel Meridione. È quanto emerge dall’VIII rapporto “Amministratori sotto tiro” presentato questa mattina a Roma da “Avviso pubblico”, l’associazione degli enti locali contro le mafie e per la cultura della legalità.
Lo scorso anno sono state 574 le intimidazioni censite, in crescita rispetto al 2017 (537); nel 2011 erano 212: un aumento del 170 per cento. Il 66 per cento dei casi si è registrato al sud e nelle isole, il restante nel centro-nord, con cifre in aumento. Le donne minacciate sono state il 14 per cento del totale. Il sindaco di Bari, Antonio Decaro, da oltre un anno ha la scorta dopo aver ricevuto pesanti minacce.
La regione più colpita è la Campania, seguita da Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna; segue la Toscana, prima regione del centro-nord che ha più che raddoppiato i casi del 2017 (40 contro 19); poi Lombardia e Lazio. Nel mirino ci sono soprattutto sindaci e personale della Pa (insieme fanno l’81 per cento), ma anche candidati, amministratori di altri enti locali e anche ex amministratori. La tipologia di intimidazione più comune è l’incendio (19 per cento), seguita dall’aggressione fisica (in aumento) e la minaccia verbale, di persona o telefonica.
In crescita le intimidazioni sui social network rispetto allo scorso anno (dal 9 al 12 per cento). Gli amministratori subiscono anche lettere minatorie, danneggiamenti, scritte offensive, lettere con proiettili, ordigni, spari, fino al macabro invio di parti di animali, ‘firmà delle associazioni mafiose.
In generale nel Sud e nelle isole si intimidisce con gesti plateali, come incendi e aggressioni; al centro-nord invece si preferiscono lettere, messaggi e telefonate minatorie. Il 45,5 per cento dei casi si è comunque verificato in centri sotto i 20 mila abitanti. Atti intimidatori sono stati censiti puoi in 45 Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa: sono stati 68, il 12 per cento del totale. In aumento poi, come ormai da tre anni, le intimidazioni che non hanno matrice “mafiosa” ma provengono da cittadini singoli o in gruppi. Costituiscono il 29,5 per cento del totale. Si tratta in particolare (35,5 per cento) di espressioni di malcontento per una decisione amministrativa sgradita, o di espressioni di disagio sociale (richiesta di posto di lavoro).
Spicca anche la violenza politica da parte di gruppi estremisti, ma anche gli atti collegati al tema dell’immigrazione e dell’accoglienza. Esistono poi sedici Comuni che convivono da anni con intimidazioni, censiti da Avviso Pubblico ogni anno negli ultimi tre anni: Licata, Rosolini e Gela in Sicilia; Crosia in Calabria; Scanzano Jonico in Basilicata; Carovigno e San Severo in Puglia; Lanciano in Abruzzo; Anzio, Ardea e il Municipio di Ostia nel Lazio; Cascina e Pontedera in Toscana; Faenza in Emilia-Romagna; Ventimiglia in Liguria; Carmagnola in Piemonte. Licata, Rosolini, Gela, Scanzano, Carovigno e Ostia erano comprese nel rapporto anche nel 2015 (le ultime due anche nel 2014). Anche le prime proiezioni del 2019 non sono incoraggianti: nel primo trimestre di quest’anno si sono registrati già 154 casi, una minaccia ogni 14 ore.