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Bari e il dramma della disoccupazione giovanile, Boccuzzi (Cisl): “Qui un ragazzo su due è senza lavoro”

Pubblicato da: Samantha Dell'Edera | Gio, 7 Febbraio 2019 - 16:15

A Bari si registra un tasso di disoccupazione giovanile pari al 55 per cento: un ragazzo su due non ha un impiego. Un dramma affrontato in questa intervista dal segretario generale Cisl della Bari – Bat, Giuseppe Boccuzzi.

A quanto è arrivato il tasso di disoccupazione giovanile qui al Sud e quindi in terra di Bari?

Quando si parla di lavoro a Bari purtroppo le accezioni negative sono quantitativamente drammatiche. Se a livello di tasso di disoccupazione generale nella nostra città siamo al 20%, cioè quasi il doppio del tasso di disoccupazione nazionale – 10,3% -, quando parliamo di giovani, i numeri dei disoccupati sono da brividi: parliamo di una disoccupazione giovanile del 55%, più di 20 punti percentuali rispetto alla media nazionale dei giovani in cerca di lavoro che segna un pur sempre preoccupante 31,9%. E se poi questi giovani sono di sesso femminile, qui il dato arriva al 60%, ossia una misoginia del mercato del lavoro barese sin dalle prime fasi di tentativo di ingresso della donna nel mondo del lavoro. Ma se i dati della disoccupazione giovanile a Bari sono la cartina al tornasole di una pesante situazione occupazionale nel suo complesso, che si trascina ormai da oltre 10 anni, è fondamentale evidenziare che nella nostra città tra i disoccupati, ossia coloro che si dichiarano “ancora” disponibili a cercare lavoro, gli inattivi scoraggiati nella popolazione in età da lavoro(15-64 anni), soprattutto giovani neet, casalinghe e over 50, e, lavoratori a nero o precari, sono 100.000 i baresi che vivono questa condizione di marginalità occupazionale e per moltissimi di loro, anche economica e sociale.

La difficoltà di trovare un impiego che conseguenze comporta nel mondo del lavoro?

E’ scontato che la difficoltà a reperire occasioni di lavoro, porta il mercato del lavoro locale a riempirsi indignitosamente di proposte di lavoro precario, di lavoretti delle piattaforme digitali mal pagati e mal tutelati, di false partite Iva, di tirocini truffa e soprattutto, quando si vuole dare una parvenza di regolarità, di lavoro part-time. Ed è proprio il lavoro part-time che sta diventando l’arma a doppio taglio per gli aspiranti lavoratori baresi, soprattutto se giovani:  se da un lato viene accettato o subito rispetto ad un più dignitoso lavoro full-time  (da qui il termine part-time involontario, che sta provocando in molti settori, dal turismo al commercio, dalla logistica alle false cooperative, dall’artigianato agli studi professionali, un vero esercito di woorking poors, cioè lavoratori poveri, con un buon 60-70% pagati con un mensile paradossalmente più basso di quello che prenderà un disoccupato nei prossimi mesi con il reddito di cittadinanza) dall’altro lato innesca meccanismi di sfruttamento della manodopera, che ormai in maniera dilagante subisce in moltissimi luoghi di lavoro il ricatto occupazionale di lavorare più ore rispetto all’orario part-time e di non essere retribuito per le ore lavorate in più.

Che percentuali le risultano di applicazione di questo part time involontario?

Peggio del lavoro nero, questa devianza del part-time involontario è una vera condizione estorsiva nei confronti dei lavoratori che non vedono un centesimo di euro in più sulle loro buste paga quando lavorano oltre il loro orario contrattuale ridotto. E questa condizione di debolezza del mercato del lavoro barese ha fatto raddoppiare in 10 anni il part-time involontario: sono ormai quasi 7 part-time su 10 che dichiarano di svolgere un lavoro a tempo parziale in mancanza di occasioni a tempo pieno.

Cosa consiglia ad un giovane che si trova davanti ad una proposta di questo tipo?

Consigliare, ovviamente, ad un disoccupato, ad un giovane di non accettare un lavoro part-time involontario riuscirebbe difficile, ma incoraggiare loro a segnalare, anche in forma anonima all’Ispettorato del lavoro, a frequentare un po’ di più le sedi sindacali per farsi assistere in percorsi di tutela e rivendicazione, potrebbe certamente aiutare le Istituzioni preposte al controllo ad essere più efficaci ed incisive o meglio dissuasive contro questo strisciante sfruttamento di chi cerca lavoro.

Le istituzioni hanno una responsabilità e se sì cosa dovrebbero fare per ridurre il tasso di disoccupazione?

In primis promuovere il territorio, la nostra città, trasformandola in alcune aree in un sito ad insediamento agevolato per le iniziative imprenditoriali, in settori promettenti come quelli costituenti la c.d. economia del mare, ma nondimeno i settori della logistica e della manifattura digitale, attraverso forme di tassazione locale azzerata su medi periodi, investendo risorse del bilancio civico su servizi e infrastrutture a supporto del tessuto imprenditoriale; promuovere forme di co-finanziamento comunale per formazione e specializzazione di disoccupati e inoccupati mettendo in collegamento mondo del sapere e mondo delle imprese; investire ingenti risorse del bilancio civico per piani intensivi di rigenerazione urbana e recupero ambientale di vaste aree periferiche della città per rendere il territorio più competitivo in termini di qualità della vita, dell’abitare e del produrre.

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