Nove condanne a pene comprese tra i 20 e i 3 anni di reclusione sono state chieste dalla Dda di Bari nei confronti dei presunti responsabili dei quattro agguati, tutti aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose, commessi a Bitonto (Bari) il 30 dicembre 2017 nella guerra tra i clan Conte e Cipriano, tra i quali quello che costò la vita, per errore, alla 84enne Anna Rosa Tarantino.
I pm Antimafia Ettore Cardinali e Marco D’Agostino hanno avanzato le richieste di condanna al termine della requisitoria nel processo con rito abbreviato che si sta celebrando nell’aula ‘bunker’ di Bitonto dinanzi al gup Francesco Agnino. In particolare, per il boss Domenico Conte, ritenuto il mandante del delitto, e per i coimputati suoi affiliati Alessandro D’Elia e Cosimo Liso, l’accusa ha chiesto 20 anni di reclusione. Per gli esecutori materiali, Michele Sabba e Rocco Papaleo, entrambi divenuti collaboratori di giustizia, i pm hanno chiesto la condanna a 14 anni di reclusione. Condanne tra i 5 anni e 8 mesi e i 6 anni e 8 mesi sono state chieste per Francesco Colasuonno, Benito Ruggiero e Rocco Mena, esponenti del clan rivale dei Cipriano. Infine per Michele Rizzo, accusato di aver minacciato i familiari di un pregiudicato perché non collaborasse con gli inquirenti, è stata chiesta la condanna a 3 anni di reclusione.
Nel processo sono costituiti parti civili il Comune di Bitonto, l’associazione Antiracket e i familiari di Anna Rosa Tarantino. Si tornerà in aula per le arringhe il prossimo 15 marzo. La sentenza è prevista per il 30 aprile. «Non gli bastava avvelenare ogni giorno intere generazioni di ragazzi con la droga che vendevano, – hanno detto i pm nella requisitoria – dovevano mostrare i muscoli e sparare fino ad ammazzare una persona innocente». I magistrati baresi hanno evidenziato anche il contributo fornito alle indagini dalle dichiarazioni di due ragazze, imparentate con alcuni degli imputati, che pochi giorni dopo i fatti «con le lacrime agli occhi – hanno detto i pm al gup – hanno raccontato quello che avevano visto e che sapevano, rompendo finalmente il muro di omertà».
Stando alle indagini di polizia e carabinieri, all’origine dello scontro ci sarebbe stata la gestione delle piazze di spaccio e il tradimento di alcuni sodali passati al clan rivale. Cosimo Liso aveva iniziato a spacciare nella piazza dei rivali, nel centro storico, e per questo gli era stato intimato di abbandonare la propria casa. All’indomani mattina la sua reazione, con alcuni colpi di pistola su un portone a Porta Robustina, piazza di spaccio nella città vecchia del clan Cipriano, quindi la risposta con due spedizioni punitive: una a casa di Liso, sfondando il portone d’ingresso, l’altra in via Pertini, alla periferia di Bitonto, con 31 colpi sul portone della palazzina dove ha sede la piazza di spaccio controllata da clan Conte (ritenuti responsabili Francesco Colasuonno, Benito Ruggiero e Rocco Mena). I Conte avrebbero aspettato solo dieci minuti: due uomini con i volti coperti, Michele Sabba e Rocco Papaleo (ora pentiti), cercarono un bersaglio, uno qualunque del clan rivale, e inseguendo lo spacciatore Giuseppe Casadibari (anche lui ora collaboratore di giustizia) uccisero la signora Tarantino. Ad ordinare il delitto sarebbe stato il boss Domenico Conte e a portare il suo messaggio ai sicari il pregiudicato Alessandro D’Elia.