Lezioni di mafia in un bar del quartiere Libertà a Bari e precise disposizioni per evitare guerra tra i clan, per impedire l’interferenza agli affari criminali da parte delle forze dell’ordine e continuare a gestire gli affari illeciti sul territorio. Sono questi alcuni degli elementi emersi dall’operazione antimafia “Pandora”.
Associazione mafiosa pluriaggravata, tre tentati omicidi, armi, rapine, furti, lesioni personali, sequestro di persona e violazioni della sorveglianza speciale: questi i reati contestati alle 104 persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa su richiesta della Dda di Bari (102 gli arresti eseguiti) al termine di 12 anni indagini sui clan Capriati e Diomede-Mercante di Bari. Sono 121 in totale le persone indagate. L’inchiesta dei carabinieri del Ros è stata coordinata dai pm Giuseppe Gatti, Lidia Giorgio, Renato Nitti e dall’aggiunto Francesco Giannella. Dagli accertamenti è emerso il ruolo apicale del boss Giuseppe Mercante, soprannominato “Pinuccio il drogato”, con potere “di vita e di morte” sui suoi affiliati. Nelle intercettazioni Mercante viene definito “uomo di pace” per la sua capacità di “comporre i dissidi interni al clan e con gli altri gruppi criminali” hanno spiegato i pm.
Il boss, emerge dalle indagini, teneva ai sodali lezioni di mafia in un bar del quartiere Libertà di Bari. “Nella vita tre cose sono importanti – diceva – omertà, rispetto, dignità dell’uomo”. Gli inquirenti hanno poi evidenziato un “aspetto tradizionale delle mafie baresi” che emerge anche in questa indagine, legato al ricorso ai “riti di affiliazione secondo i rituali classici”. Il “battesimo” da parte dei “padrini” serviva a conferire la “personalità mafiosa” ai “figliocci” perché questi potessero agire “con pienezza di diritti e doveri”.
“Questa indagine – hanno spiegato i magistrati – rappresenta un punto di svolta sulla ricostruzione della geografia criminale barese”, evidenziando le ramificazioni dei due clan nell’intera regione, da Bitonto a San Severo, passando per Altamura, Gravina, Valenzano, Triggiano e il Nord Barese. Risulta accertato, per esempio, che quella capeggiata dal boss di Bitonto Domenico Conte (già in carcere per l’omicidio dell’anziana Rosa Tarantino avvenuto il 30 dicembre scorso) è una articolazione del clan Capriati e che lo stesso Conte è scampato nel settembre 2013 ad un agguato commesso da sodali del clan Diomede-Mercante, federato con i Capriati.