“Ho avuto decine di casi che alle 9 dovevano dare le chiavi e alle 9.15 stava l’abusivo dentro”. Il riferimento è alle operazioni di sgombero delle case popolari a cura di alcuni dipendenti dell’Arca e al sospetto degli investigatori baresi di una “gestione disinvolta” delle riconsegne degli alloggi che farebbe pensare all’esistenza di un mercato illecito dell’occupazione delle case appena sgomberate.
È quando emerge dagli atti dell’indagine della Procura e guardia di finanza che ha portato all’arresto per corruzione di Sabino Lupelli, ex direttore generale di Arca Puglia (l’agenzia regionale che gestisce 21mila gli alloggi di edilizia residenziale pubblica), di due imprenditori, un avvocato e una cancelliera della Procura di Bari. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip sottolinea i “comportamenti ingannatori” di Lupelli, “anche al di fuori dello schema corruttivo e delle logiche clientelari” relativi alle presunte tangenti intascate per favorire gli imprenditori negli appalti delle case popolari e degli alloggi per studenti.
Con riferimento all’altro aspetto, che costituisce quindi un diverso filone d’indagine su cui nei prossimi mesi si concentreranno gli accertamenti dei finanzieri, il giudice spiega che, dopo aver saputo dell’indagine a suo carico relativa agli appalti, Lupelli avrebbe tentato di “dissimulare la sua gestione disinvolta della questione relativa allo sgombero e al recupero degli alloggi di edilizia residenziale pubblica”, oltre ad aver “coperto” i comportamenti illegali di alcuni dipendenti (adesso formalmente indagati). “Uno si è venduto una cosa e uno si è venduto l’altra”, dice Lupelli in una intercettazione, parlando di due dipendenti precedentemente addetti alle operazioni di sfratto, che poi avrebbe tutelato riuscendo ad evitare che per queste condotte fossero denunciate.
Se da un lato avrebbe “coperto” alcuni dipendenti, però, dall’altro Lupelli avrebbe avuto “atteggiamenti incontestabilmente intimidatori” fino “a minacciare diffide” nei confronti di due funzionarie che avevano sollevato perplessità sulla regolarità di alcune pratiche. Per il giudice quei comportamenti “sono a dir poco espressione di un abuso di potere, strumentale ad una gestione clientelare della pubblica funzione, con conseguente vantaggio indebito per se stesso”.