Il reato di stalking contestato al 51enne Maurizio Zecca, accusato di aver perseguitato e violentato una dottoressa in servizio come guardia medica, “risulta evidentemente costituito da una serie numerosa di condotte integranti, singolarmente, reati perseguibili di ufficio”. Per questo motivo la Procura di Bari ha ritenuto “doveroso” impugnare il provvedimento del Riesame che ha disposto la scarcerazione con gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico per l’indagato, ritenendo che il reato di violenza sessuale, procedibile a querela di parte, sia stato denunciato dalla vittima oltre il termine di sei mesi previsto per legge.
La Procura, ricostruendo in una nota la vicenda e spiegando le singole condotte persecutorie, insiste nel ritenere che la contestazione di stalking comprenda altri reati procedibili d’ufficio, “quali il delitto di minacce gravi, di violenza privata, violazione di domicilio aggravata, molestie alle persone, procurato allarme”.
Questi reati “proprio a causa della loro reiterazione attraverso molestie e minacce e degli effetti sulla vittima (perdurante stato di ansia e di paura, timore per la propria incolumità e per quella dei prossimi congiunti, alterazione delle proprie abitudini di vita, con mutamento di ben tre sedi lavorative) – si legge nella nota della Procura – hanno dato luogo alla contestazione del più grave delitto di cui all’articolo 612 bis del Codice penale (atti persecutori), nella cui formulazione, inoltre, fra i vari episodi è stato descritto anche il delitto di violenza sessuale posto in essere ai danni della persona offesa, anche perché in occasione delle innumerevoli telefonate effettuate all’utenza della guardia medica l’indagato riproduceva in più occasioni gemiti riconducibili a un rapporto sessuale e audio di natura pornografica”. La Procura, quindi, ritiene che “la violenza sessuale ha trovato origine e consumazione proprio a causa del procrastinarsi delle condotte persecutorie poste in essere” dall’indagato e che vi sia connessione “sostanziale” e “probatoria” tra i fatti.
Ma il presidente del Riesame, Francesca La Malfa, spiega le ragioni tecniche che hanno portato i giudici a disporre la scarcerazione dell’uomo. “Il tribunale ha fatto una rigorosa applicazione della legge. La violenza sessuale contestata all’indagato non è aggravata – spiega – altrimenti sarebbe stata procedibile d’ufficio. Era un’ipotesi non grave che la persona offesa, per sue scelte personali, ha ritenuto di far emergere soltanto a distanza di tempo, quando la situazione aveva assunto altri connotati. Anche lo stalking, per come è contestato allo stato attuale, non è un’ipotesi aggravata: quindi è anch’esso un reato procedibile a querela”.
“Lo Stato tutela le persone offese – continua la presidente La Malfa – a fronte di episodi di particolare gravità, in cui non è necessaria l’istanza di punizione ma si procede d’ufficio, ovviamente quando lo Stato ne viene a conoscenza. In questo caso lo Stato ne è venuto a conoscenza soltanto nel settembre 2017, rispetto a una vicenda che era cominciata già molto prima, nel 2016, e che era sfociata in questo episodio di violenza non grave del dicembre 2016” e che è stato denunciato nove mesi dopo. “Credo che bisogna rispettare la libertà di autodeterminazione della persona offesa – dice ancora La Malfa – e delle scelte che inducono una donna a richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria soltanto in un momento particolare della sua vita piuttosto che in un altro”.
Sulla possibilità che il governo modifichi la norma sui tempi delle denunce, la presidente ritiene che “se la direzione è quella di una maggiore tutela per le donne e per le vittime in generale di abusi o atteggiamenti persecutori nei loro confronti va benissimo, ma non compete alla magistratura entrare in scelte che sono del potere legislativo”. “Certo – conclude – spetterà alla politica contemperare le esigenze dei diversi soggetti coinvolti nelle vicende, quindi non soltanto delle persone offese ma anche degli indagati, che poi sono esposti a termini così lunghi di istanza di punizione”.