“Proposta inaccettabile”. Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha di fatto rimandato al mittente Am Investco il piano occupazionale per l’Ilva e annullato l’incontro al Mise per la trattativa tra la società, fondata da Arcelor Mittal e Marcegaglia, e i sindacati. “Non c’è nessun garanza per i lavoratori” ha precisato il ministro, davanti a un progetto che prevede 4 mila esuberi su scala nazionale, di cui 3 mila nella sola Taranto (su 10.500 dipendenti diretti), oltre alla rinuncia per chi rimane di quanto maturato negli anni di servizio e la riassunzione con i nuovi contratti a tutele cosiddette crescenti, senza lo scudo dell’articolo 18 contro il licenziamento, previsti dal Jobs Act. Il piano si ripercuote inevitabilmente anche sui lavoratori dell’indotto.
Il tutto mentre a Taranto, tra tensioni e ira, migliaia di lavoratori hanno scioperato e manifestato davanti ai cancelli dell’acciaieria, per tutti e tre i turni, paralizzando di fatto la produzione. Uno sciopero indetto e appoggiato da tutte e tre le sigle sindacali confederali dei metalmeccanici e dall’Usb, il sindacato di base (a loro si sono aggiunte le istituzioni: Comuni e Regioni). L’adesione è stata massiccia come a Genova, Novi Ligure e Milano.
La questione è quindi rimandata e vedrà le prossime settimane aprirsi una trattativa lunga e dura, con in mezzo le questioni irrisolte legate alla salute e all’ambiente nella città di Taranto, a causa delle emissioni inquinanti del siderurgico.
“Sono fiero della reazione dei lavoratori – spiega Francesco Brigati, segretario Fiom – e dei miei compagni che hanno dimostrato grande senso di responsabilità. La vertenza è ancora lunga e noi non abbiamo nessuna intenzione di mollare la presa. Domani avremo un consiglio di fabbrica unitario e insieme decideremo, in base anche alle novità che emergeranno, quale altre iniziative mettere in campo”.