Era una tranquilla e afosa serata di fine estate, 2 settembre del 2012: Gaetano Petrone, 43enne incensurato autista dei bus Amtab, esce di casa, sale da solo sulla sua auto – una Hyndai Matrix – mette in moto e attraversa strada San Girolamo per raggiungere l’abitazione del suocero.
Fa pochi metri, la sua vettura viene affiancata dal lato passeggeri da uno scooter di grossa cilindrata con a bordo due persone, entrambe con i visi coperti da caschi. Petrone viene bloccato avanti e dietro da altre due auto, la strada è sbarrata. Un uomo si avvicina allo sportello e fa fuoco, sei proiettili raggiungono il povero 43enne che non ha scampo. Una esecuzione criminale vera e propria nonostante Gaetano Petrone non solo fosse incensurato ma aveva sempre avuto una vita tranquilla. Guidava i bus navetta dei park and ride, non aveva nemici.
Cinque anni dopo il suo delitto è ancora irrisolto, gli investigatori della polizia hanno sempre sospettato che il 43enne fosse stato ammazzato per colpe non sue, per una vendetta trasversale. Ma, al momento, gli inquirenti non sono riusciti a trovare le prove che potrebbero incastrare i killer e dare sostanza alla loro tesi investigativa. L’agguato mortale avvenne intorno alle 21, Nino – come tutti lo chiamavano, amici e parenti – fu pedinato e ucciso a sangue freddo. I sicari attesero il momento giusto, probabilmente conoscevano le sue abitudini. Gaetano Petrone con la malavita non ha mai avuto nulla a che fare, ma gli investigatori ipotizzano che possa essere stati ucciso per punire suo figlio, Raffaele: il ragazzo – poi diventato collaboratore di giustizia – faceva parte del gruppo dei Lorusso, da sempre in guerra con quello dei Campanale a San Girolamo.
Gaetano Petrone, innocente, potrebbe essere stato ucciso per punire il primo ferimento di Felice Campanale (il boss sarà ucciso mesi dopo), questa l’ipotesi che, però, a distanza di 5 anni non ha ancora trovato elementi probatori.