Fa scalpore, in ambito sportivo e non solo, il passaggio del calciatore Bonucci dalla Juventus al Milan: un tradimento per alcuni, un grande colpo per altri. In poche ore da colonna della squadra campione di Italia a leader di una acerrima rivale (poche settimane dopo aver giurato amore eterno alla prima…)
Di fatto, Leonardo Bonucci, 30 anni, diventa il calciatore più pagato in Italia (tra contratto e bonus potrebbe arrivare a 10 milioni di euro netti all’anno) superando l’ex compagno Higuain. E, per la prima vola nella storia, il più pagato della serie A è un difensore. Ed è un ex del Bari. Bonucci, infatti è “nato” professionalmente, nel Bari di A.Conte, protagonista della promozione storica in serie A del 2008/2009. Un barese (molto legato ancora alla squadra ed alla città) al vertice dei “paperoni” calciatori. Anche questo è record (se la pazza estate di calcio mercato 2017 non lo brucerà nelle prossime settimane).
Ma come fanno le società calcistiche ad assicurare stipendi di questo tenore, e sempre in crescita, in un periodo di crisi come l’attuale? E perché guadagnano così tanto, quelli che in fondo, sono semplici atleti professionisti?
Va premesso, citando una classica regola di micro economia, che il mondo del lavoro (anche il lavoro degli sportivi) è un mercato come tutti gli altri. Il prezzo quindi, in un mercato concorrenziale, lo determina l’equilibrio tra domanda ed offerta. In Italia ci sono, per esempio, pochi milioni di medici e centinaia di migliaia di commercialisti. I calciatori professionisti sono invece nell’ordine delle centinaia, e di qualità come, per tornare a lui, Bonucci, un paio di decine. Questo semplice schema domanda offerta basta a giustificare l’entità di certi compensi? Evidentemente no.
C’è un discorso alla base ancora più profondo, e riguarda le società calcistiche, in questo caso il Milan, ma si pensi anche a formazioni estere come Real Madrid o Manchester United che arrivano a pagare i propri assi anche 12, 15, 20 milioni.
Lo sport professionistico, e qui in Europa in primis il calcio, è il più grande business per quello che riguarda lo sfruttamento dei diritti televisivi e di immagine.
Negli ultimi vent’anni, nessun settore a livello MONDIALE si è dimostrato più redditizio, rispetto allo sport, nel generare profitti attraverso i diritti di immagine e in particolare quelli televisivi. In termini semplici: io azienda X legata ai consumi di massa (che mi chiami Coca Cola o Adidas o Heineken poco importa), ho la certezza che il prodotto sportivo venduto in tv, e la pubblicità al suo interno, mi assicurano visibilità e aumento dei profitti in maniera matematica. I nuovi mercati (Asia, Medio Oriente e parte del Nord America) sono affamati di sport e calcio di alta qualità da vedere in televisione. Quindi le aziende investono milioni in pubblicità, e le televisioni mondiali si contendono i diritti di trasmettere queste partite a suon di aste pazzesche, perché i numeri dicono che si guadagna sempre. Per intenderci, uno spot trasmesso nell’intervallo della ultima finale Champions Juventus-Real Madrid, costava a seconda delle nazioni dove era trasmesso fino a 45/50.000 euro al secondo. In pochi anni le formazioni più blasonate e ricche di campioni e i campionati più spettacolari (Inghilterra, Spagna, Italia), quelli che tutti vogliono vedere in Tv anche da una sperduta isoletta del Pacifico, hanno subito una INONDAZIONE di milioni dalle TV. A ciò si aggiunga la rapida ascesa dei canali a pagamento in tutto il mondo, un fenomeno in aumento, e oggi si va espandendo anche alla rete internet e agli smartphone.
Il mercato è stato di fatto drogato da questa inondazione, e i flussi di denaro verso le società calcistiche hanno provocato una logica inflazione dei costi di acquisto e dei contratti di coloro che possono spostare gli equilibri e quindi aumentare ancora di più la richiesta di trasmissione televisiva. Cioè se compro un campione a 10, tutti vorranno vedermi e quindi incasserò anche 20. L’anno dopo i diritti Tv aumentano e lo stesso calciatore si risposta per 15… Una classica asta al rialzo.
Ecco come si arriva alla situazione attuale. L’acquisto del Milan di Bonucci è un investimento dal quale la società ritiene di acquisire quella “voglia” di essere vista che porterà fiumi di utili nel prossimo futuro. Non a caso i nuovi dirigenti rossoneri hanno cercato di portare il neo acquisto nella tourné cinese; perché solo dalla vendita dei diritti di immagine in Cina (e dal merchandising collegato) si possono arrivare ad incassare 20 milioni di euro all’anno, che praticamente ripagherebbero in due anni il costo dell’acquisto stesso di Bonucci!
Infine, ed è aspetto strettamente collegato al concetto precedente della “fame” televisiva, i compensi di calciatori ed allenatori di successo, aumentano anche perché sono ormai i più desiderati per gli spot. Abbiamo compreso come un evento sportivo di rilievo assume notorietà mondiale. Bene, è ovvio che i protagonisti di questi eventi, sono dei potentissimi testimonial per aziende che vogliono promuovere i propri prodotti attraverso pubblicità in tv, radio, giornali ecc. Si pensi che un allenatore come Josè Mourinho (testimonial, tra gli altri, di Molinari e Heineken) o l’ex calciatore Beckham (case di moda, shampoo, materiale sportivo e altro ancora tra i suoi sponsor) per un certo periodo della carriera incassavano quasi metà dei loro redditi dalle case per cui fungevano da testimonial…e va detto, le stesse aziende hanno però avuto ritorni commerciali importanti da queste partnership. Negli Stati Uniti, dove c’è un mercato televisivo anche più ampio, un campione della NBA alla Kobe Bryant o il noto Micheal Jordan, o il golfista Tiger Woods, sono arrivati a percepire anche 40 o 50 milioni per anno, legando la propria immagine a decine di aziende, oltre ad avere stipendi altissimi per i già noti diritti TV pagati alle proprie squadre e ai tornei di cui erano le star.
Che dire, davanti a questi numeri, si comprende meglio come e perché la spirale dei prezzi ha una sua logica: dietro un apparente gioco su un campetto o in uno stadio, c’è uno dei pochi business che non solo non conosce crisi (come indotto complessivo mondiale) ma che in questo momento ha ancora delle praterie davanti, nelle quali si tuffano in molti, investendo cifre apparentemente folli (anche perché i campioni veri su cui puntare sono relativamente pochi e NON replicabili), ma in realtà investimenti golosissimi e ad alta percentuale di successo.
L’economia del calcio e il perchè di vendite milionarie, nonostante la crisi
Pubblicato da: redazione | Mar, 18 Luglio 2017 - 11:15
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