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Di che parliamo, quando parliamo di street art

Pubblicato da: Francesca Romana Torre | Ven, 26 Maggio 2017 - 15:45

Fino a qualche secolo fa, quando le nostra città si dividevano in quartieri monumentali e case arrabattate per i ceti popolari e gli ingegneri non avevano ancora messo mano alle piante urbane, la bellezza era – per diversi motivi – appannaggio di tutti coloro che camminavano per strada. Chiaro: l’architettura dedicava le proprie energie solamente a determinati tipi di edifici, il cui valore estetico era intrinsecamente legato a un valore civile, politico e – ovviamente – religioso. Il popolo poteva, tutt’al più, godere di tanto impegno, solo di riflesso e trarne spunto educativo. La maestosità e lo sfarzo, anzi, avevano il compito di ribadire la stratificazione delle classi, dove a determinati reddito e potere corrispondeva un determinato diritto alla bellezza. Spesso nei manuali di storia dell’arte, è citata la funzione didattica dei grandi cicli di affreschi, pensati per chi – pur non sapendo né leggere né scrivere – imparava così le nozioni fondamentali per la società dell’epoca. Eppure, come si accorsero i primi pensatori liberi e indipendenti di quei tempi, parlare di didattica è oltremodo fuori luogo: c’era più una volontà di sottomissione, tesa a mantenere rigide le fila dello status quo. Col passare del tempo, arrivando al secolo scorso, l’arte si è svincolata dalle mani della Chiesa e della nobiltà – e non per un qualche suo merito particolare, ma semplicemente per un cambiamento di ruoli e di poteri – passando in quelle dei grandi gruppi economici. Sono nati i grandi musei, alcuni di questi sono diventati veri e propri brand commerciali (basti pensare al Guggenheim di New York, Bilbao, Venezia…), e l’arte ha vissuto forti cambiamenti estrinseci, non variando nella sostanza la sua funzione. Eppure, c’è un movimento che da circa quarant’anni sta portando arte di altissima qualità al di fuori del sistema museale e – soprattutto – al di fuori della volontà della classe dominante: la street art. Chi ama la città, o la disprezza ma – quotidianamente – la vive, riesce, con la pittura muraria pubblica a riappropriarsene. La tecnica raggiunta da questi artisti è alle volte assolutamente eccezionale, e dà vita a risultati incredibili.

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Oltre all’esempio più famoso di Bansky, che con le sue icone ha rappresentato e continua a rappresentare la nostra società con tutte le sue contraddizioni, ci sono tanti altri artisti che rendono le città la risposta più forte alla cultura dominante. A differenza della Pop art, che ha inserito i temi quotidiani nell’arte elitaria, la street art porta temi universali nell’ambiente quotidiano, quello che tutti noi attraversiamo durante le nostre vite. Qualcuno continua ad accusare questi artisti di degrado, eppure è sempre più chiara la distinzione tra vandalismo e messaggio artistico-sociale. Il consiglio è di visitare l’ambiente che ci circonda con occhi diversi, cercando l’arte e la bellezza anche dove sembra non avere spazio. E ancora, prendersi cura delle opere che gli artisti di strada ci hanno regalato, e trasformare i nostri quartieri in musei a cielo aperto: questa è la vera arte contemporanea, questa è la vera arte del popolo.

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