La riunione dei responsabili economici delle potenze mondiali (il cosiddetto G7 economico) si è chiusa a Bari, con importanti risultati. A livello mediatico, forse per il maggiore interesse suscitato, è passata più l’immagine di una allegra gita per le delegazioni.
In realtà si è discusso di temi economici attualissimi. Come anticipato in questa rubrica nell’articolo del 3 maggio, si è approcciato in primis il problema della “web tax”. Ma soprattutto, i ministri e governatori presenti hanno sottoscritto su proposta italiana, il “manifesto di Bari”, una sorta di dichiarazione di intenti per coniugare la crescita economica all’inclusione sociale. Tradotto in un concetto univoco: le grandi masse popolari spesso si sentono giustamente escluse, se non danneggiate, dagli enormi profitti che aziende e multinazionali realizzano grazie alle liberalizzazioni commerciali. Il manifesto vuole aprire la strada a misure concrete per fare in modo che l’aumento dei volumi di affari sia proporzionale alla diminuzione di povertà e disuguaglianze presenti in diverse aree del mondo. Anche perché sono quelle povertà e disuguaglianze a creare i presupposti per emigrazioni di massa, problemi ambientali, movimenti estremisti.
Un tema caro soprattutto all’Europa, visto che l’insofferenza diffusa a seguito dei fenomeni sopra citati, ha procurato impopolarità verso governi ed istituzioni.
Il tema si può collegare ad una novità importante, che ha investito il nostro paese: l’introduzione dei Piani individuali di risparmio, che puntano ad unire gli interessi dei piccoli risparmiatori allo sviluppo delle più importanti imprese del paese Italia.
La legge finanziaria dello scorso dicembre ha introdotto questi piani, detti P.I.R., che prevedono l’esenzione della tassazione degli interessi, nonché delle tasse di successione.
Perché questa è una svolta epocale? In sostanza, alcuni investimenti che vanno a sostenere l’economia nazionale (perché acquistano determinati titoli di aziende italiane medio piccole) premiano col risparmio fiscale i sottoscrittori: se oggi un investimento produce 1000 euro di interesse, lo stato trattiene il 26%. Per i P.I.R. l’interesse è riconosciuto senza questa trattenuta.
Una novità assoluta, anche perché i tagli minimi e massimi di queste operazioni ne fanno uno strumento adatto ai piccoli e piccolissimi risparmiatori (si può accedere all’investimento con poche migliaia di euro, e il massimo annuo esentato è 30.000 euro).
L’obiettivo finale è quello di far ricadere la crescita economica nazionale, direttamente sui cittadini/risparmiatori. Sia per gli interessi che questi investimenti daranno nel lungo periodo, sia perché con essi cresceranno occupazione e sviluppo in Italia, con ovvi vantaggi per la collettività.
Il ruolo di finanziatori della crescita industriale è stato per almeno tre decenni svolto in parte minima dallo Stato e in larga parte dalle Banche, spesso di proprietà straniera. Negli ultimi anni, le ripetute crisi dei sistemi bancari, e di quello italiano, hanno ridotto questa capacità di “polmone finanziario” per gli istituti di Credito, che credito ne fanno sempre meno.
Ecco dunque che i piani di risparmio, se gestiti con intelligenza (in Francia ed Inghilterra hanno prodotto risultati straordinari in termini di partecipazione alla crescita dei Pil nazionali) sono una straordinaria opportunità:
Il piccolo risparmiatore diventa protagonista dei migliori progetti di sviluppo del sistema economico nazionale, e la ricchezza privata, si sposta da rendite passive a contributo attivo agli investimenti reali.
Allo stesso modo, i profitti realizzati, vengono condivisi con la collettività e parzialmente diffusi tra il pubblico, senza contare la crescita occupazionale che è il primo antidoto alla povertà e alla disuguaglianza.
A ben vedere, un modo indiretto di contribuire a quella “inclusione sociale”, di cui si è parlato nel manifesto di Bari, e un primo passo per rendere le masse popolari, “partner” e alleate delle aziende, nel grande spazio di crescita offerto dalla globalizzazione economica mondiale in corso e in divenire.