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La gazza ladra: storia d’amore, di popolo e di fortuna

Pubblicato da: Francesca Romana Torre | Mer, 22 Marzo 2023 - 14:04
Gazza

Opera semiseria di Gioacchino Rossini, La gazza ladra fu rappresentata per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 31 maggio 1817. L’opera ha una durata piuttosto impegnativa – parliamo di circa tre ore  e mezza – ed è forse per questo raramente rappresentata a teatro; molto più famosa è la sua ouverture, consacrata nell’immaginario popolare dalla colonna sonora di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick. Degno di nota, è anche il cortometraggio del 1964 di Giulio Gianini e Lele Luzzati, parte della triologia Omaggio a Rossini che, sulle note dell’ouverture e con l’inconfondibile stile dell’artista genovese, mostra le vicende del simpatico pennuto che dà il titolo all’opera.

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La gazza ladra nasce in un contesto storico e personale che profuma di rivoluzione: siamo poco al di là della disfatta napoleonica e in Italia così come nel resto d’Europa non si fa altro che parlare di uguaglianza e di diritti dell’uomo e del cittadino. La famiglia Rossini, poi, faceva parte di quella borghesia provinciale in grado di fornire strumenti e aspirazioni al proprio rampollo che vola – infatti – da Pesaro a Parigi, guadagnando stima e seguito in tutta Europa. Naturalmente le opere di Rossini sono figlie di questa filosofia liberale, come denota anche una certa predilezione per i protagonisti scelti dai bassi ranghi della società, tra cui non fa eccezione la Ninetta de La gazza ladra, una pura e coraggiosa servetta della Francia illuminista.

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La trama

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L’intero intreccio dell’opera gioca sull’equivoco e sull’onore della protagonista, le cui vicissitudini sono tragicamente compromesse e fortunosamente risolte dalla gazza ladra del titolo. La giovane serva, al servizio della famiglia Vingradito, attende con ansia il ritorno dal fronte di Giannetto, figlio dei suoi padroni e a lei sentimentalmente legato. Contemporaneamente, però, la giovane si ritrova a gestire un’altra mancanza, quella di Fernando Villabella, l’onorevole e pluridecorato padre, scomparso tra le fila dell’esercito. Quello che Ninetta non sa, però, è che il padre – da eroe della patria – è diventato un fuggiasco, in seguito a un litigio con un generale parigino che lo costringe a darsi alla macchia. Ricongiuntasi sia col padre che col fidanzato, la giovane si ritrova a dover nascondere la presenza del genitore a tutto il villaggio e a provvedere alle sue necessità vendendo di nascosto un cucchiaio – l’ultimo bene della sua famiglia – al mercante Isacco. Il caso vuole, però, che una gazza ladra sottragga al servizio di posate della famiglia Vingradito – che Ninetta stava lucidando – proprio un cucchiaio, incastrando la servetta che è accusata di furto. Il tribunale non ci va troppo per il sottile: la sentenza per Ninetta è la morte e, nello sgomento del villaggio, la ragazza si trova presto sul patibolo. Sarà proprio la gazza – insieme all’affetto e alla coscienza dei personaggi secondari e un’amnistia inaspettata – a risolvere la situazione, restituendo al villaggio la serenità e la pace di sempre.

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Il gioco delle coincidenze – le iniziali sui due cucchiai, “FV”, stanno sia per Fabrizio Vingradito (il padrone) che per Fernando Villabella (il padre di Ninetta) – stimola la storia a illustrare l’intaccabile onestà della sua protagonista. La fanciulla, infatti, è pronta a sacrificare tutto – l’amore, la vita – pur di proteggere il padre a cui aveva dato la propria parola di riservatezza. La virtù per le eroine rossiniane non è questione di rango, anzi: così come ne La Cenerentola del 1817 e  Il Barbiere di Siviglia del 1816, il compositore sceglie dei libretti che raccontano una nobiltà maliziosa e invidiosa di un popolo coraggioso e coerente, segno inequivocabile dei mutamenti di classe e del riassestamento di equilibri economici caratteristici dell’età romantica.

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