La sesta stagione de Il Trono di Spade è giunta alla fine. Alcune domande hanno trovato risposta, qualche vecchia conoscenza ci ha salutati per sempre, qualcuno si è messo in viaggio, qualcun altro si gode la vittoria e il trono (almeno per il momento). Magistrale la sequenza iniziale, ulteriore esempio – nel caso qualcuno ne dubitasse ancora – di quanto le serie tv non abbiano nulla da invidiare al grande cinema. La fotografia e i dialoghi danzano sulla tastiera del pianoforte che accompagna la prima parte della puntata, orchestrate in un crescendo di violenza che vedrà sedersi sul trono di spade la vera regina di Approdo del Re, Cersei Lannister, orfana di padre e di figli, sola al mondo e libera di esplodere in tutta la sua malvagità.
Il sogno di un mondo migliore portato avanti dalla nuova generazione Targaryen – e ora sappiamo che questa definizione non riguarda solo Daenerys – si scontrerà, infine, con l’animo più cruento e spietato del Continente occidentale. Il conflitto si è polarizzato, l’Altofuoco ha spazzato via ogni ambiguità e ha preparato il terreno per quella che si preannuncia essere una vera e propria guerra tra bene e male.
Fuori il vecchio, dentro il nuovo
Ciò che non si evolve è destinato a scomparire. Il season finale lascia sopravvivere i personaggi più forti e maturi: Jon – finalmente – viene acclamato come Re del Nord e sembra svicolarsi dall’aria da reietto che l’ha condizionato per tutta la serie. I valvassori degli Stark sono pronti evidentemente ad accettare un bastardo ma non una donna, così Sansa chiude la sequenza con uno sguardo ambiguo – d’intesa? di sfida? – rivolto a Ditocorto. Che siano queste le premesse di una nuova battaglia fratricida?
Daenerys impara a governare le proprie pulsioni e la propria emotività (che in passato l’hanno quasi portata alla rovina) e si affida totalmente al suo consigliere Tyrion, con un dialogo tra i due davvero commovente. Lo scontro tra Daenerys e Cersei sembra essere paritario: entrambe glaciali, sono riuscite ad astrarsi dagli affetti e fissano ormai lo sguardo solo sul proprio obiettivo.
Il finale ci mostra quelli che saranno i protagonisti del gioco del trono e i loro alleati e mette un punto alla mutevole geografia dell’universo di George R.R. Martin. L’episodio ha anche il merito di consegnarci almeno tre scene memorabili, dal suicido del fragile Tommen, alla vendetta di Arya su Walder Frey – che chiude nello stomaco del padre ogni possibile rivalsa futura da parte dei figli, partecipando a un’onorevole tradizione letteraria di punizione e cannibalismo – al monologo della strepitosa Lady Mormont che dà in testa a tutti i capofamiglia del Nord.
Ora più che mai queste sono Le cronache del Ghiaccio e del Fuoco. I due elementi si sono incontrati nella figura di Jon Snow – peccato che il colpo di scena sulle sue origini, altrimenti sensazionale, sia stato anticipato dai fan – che rappresenta la sintesi tra la tesi Targaryen e l’antitesi Stark, colui che racchiude e supera le due posizioni: valoroso, rivoluzionario, il Re del Nord è a buon diritto il protagonista effettivo della saga.
Il season finale getta le basi per una settima stagione importante, in cui le aspettative del pubblico dovrebbero essere soddisfatte. La trama è sicuramente scorsa in maniera più lineare rispetto a quanto Martin ci ha abituati, ma se l’ultima stagione perde in colpi di scena, ne guadagna in spettacolarità e concentra nelle sue dieci puntate alcune delle sequenze più memorabili di tutta la serie.
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Il conto alla rovescia per la prossima stagione è già iniziato, i draghi sono in volo, gli Estranei in marcia e ormai nessuno ha più dubbi: l’Inverno è arrivato.
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