Inchiesta sull’esame d’avvocato, Laquale: “Ho aiutato degli amici, non ho preso soldi”

BARI – “Ho voluto aiutare degli studenti che conoscevo, non c’è stata alcuna finalità economica”. Così, stamattina durante l’interrogatorio di garanzia, l’ex funzionaria dell’Università di Bari, Tina Laquale, si è difesa. La donna, venerdì scorso, è stata arrestata e posta ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sull’esame per l’accesso alla professione di avvocato: secondo i carabinieri e il pm Luciana Silvestris, avrebbe – con la complicità di sua figlia, Innocenza Losito, e dell’avvocato Giuseppe Colella, anche loro ai domiciliari – fornito a 7 candidati i compiti già svolti, comunicando con loro attraverso la chat di Whatsapp e consegnando gli elaborati grazie all’aiuto del segretario della commissione, il funzionario della Corte di Appello Giacomo Santamaria, per il quale la Procura di Bari ha chiesto l’interdizione. Nell’interrogatorio dinanzi al gip Tina Laquale, oggi in pensione, difesa dagli avvocati Giancarlo Chiariello e Raffaele Quarta, ha spiegato di aver voluto “aiutare alcuni studenti conosciuti in ambito accademico”, nella convinzione che “il percorso di sostegno alla formazione non si esaurisce nell’Università”. L’ex dipendente ha negato di aver intascato dei soldi: “L’ho fatto solo per amicizia e altruismo”, si è difesa. Anche sua figlia, Innocenza Losito, ha risposto alle domande del giudice, sostenendo che “non avevamo consapevolezza e volontà di alterare le prove d’esame, ma solo di aiutare amici in difficoltà”. Si è invece avvalso della facoltà di non rispondere l’avvocato Colella.