Bari non balla più. Snoopy, Camelot, Neo. Cellar, Pan, Renoir. Un elenco sterminato di discoteche che ricordano la gioiosa Bari degli anni ottanta e novanta. Dell’industria del divertimento del capoluogo regionale non c’è più traccia. Bari non balla più. I disco-club non solo furono un fenomeno di tendenza giovanile che collegò la città ai flussi culturali europei. Rappresentarono una declinazione meridiana dell’industria del divertimento e del tempo libero.
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Bari non balla più. Non solo musica alienante allietava le serate dei ventenni e dei trentenni. C’erano progetti avanguardistici come il Fez o Jazz’in, nonché una tradizione che avrebbe anticipato tante note della nuova musica elettronica (ci resta almeno Time Zones…).
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Bari non balla più. Sono poche le discoteche e i locali dove si suona dal vivo in città. I suoi striduli dei mixer sono stati coperti da quelli delle pallottole che volano quasi ogni sera. Qualcuno dovrà renderne conto. Bari non balla più. E la politica gira la testa dall’altra parte. Senza spiegare per quali motivi i pochi animatori di discoteche, nelle ultime realtà che hanno resistito, incontrano difficoltà nel realizzare il proprio progetto economico legato alla musica. La storia della chiusura dell’H25 è più di un capitolo di cronaca nera.
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Bari non balla più. Una intera generazione sta preferendo all’aggregazione intorno alla musica dei club, la marginalizzazione del web, dei monitor e delle tastiere individualizzanti. Bari non balla più. Non è una questione di nostalgia: è indispensabile un discorso pubblico sulla musica in città, che affronti i nodi della legalità, della burocrazia e del tempo liberato per i giovani. Non è mai troppo tardi per far girare il disco giusto.
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di Michele De Feudis