Nel nostro Paese, i lavoratori che a fine 2023 hanno utilizzato il buono pasto per la loro pausa pranzo sono 3,5 milioni di questi il 20% lavora nel pubblico impiego (pari a 700mila persone). Offerti da più di 150mila imprese ai propri collaboratori i buoni pasto vengono accettati da oltre 170mila esercizi convenzionati. I percettori tipo sono quelli che lavorano nel privato, in particolare nell’industria. Tuttavia, da pochi giorni vi è una novità: il ticket che viene rilasciato al lavoratore a fronte dello svolgimento della giornata lavorativa (in molte aziende anche se effettuata in smart working) spetta al lavoratore anche durante il periodo di ferie. Lo ha stabilito la Cassazione, sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 25840/2024, pubblicata lo scorso 27 settembre, che ha rigettato il ricorso proposto da un’azienda della Regione Campania avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 553/2023, di conferma della decisione del Tribunale di Benevento che aveva condannato la stessa azienda, in accoglimento della domanda avanzata da un dipendente, a corrispondere al medesimo dipendente, relativamente al periodi di assenza per ferie, anche alcune indennità correlate allo svolgimento dell’attività lavorativa, nonché i buoni pasto per gli stessi periodi.
I Giudici di legittimità, infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, nel ritenere la sentenza della Corte d’Appello esente da ogni e qualsiasi violazione di legge, sottolineavano che la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue ha più volte precisato che “con l’espressione «ferie annuali retribuite» contenuta nell’art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88 del 2003 si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali «deve essere mantenuta» la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria”. “Ciò che si è inteso assicurare, si legge nella sentenza in rassegna, è una situazione equiparabile a quella ordinaria del lavoratore in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione. Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto a indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza”.
Ne consegue che, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia di Strasburgo che, come noto, ha efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, la retribuzione spettante al dipendente nel periodo di godimento delle ferie annuali “comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni ed è correlato allo ‘status’ personale e professionale del lavoratore”. In conclusione, ricorso respinto, con condanna dell’azienda datrice di lavoro al pagamento delle spese di giudizio e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.