Il Long Covid, noto anche come condizione post-Covid-19, rappresenta una delle sfide più complesse emerse dalla pandemia di Covid-19. Caratterizzato da sintomi persistenti per tre mesi o più dopo l’infezione acuta, il Long Covid può influenzare vari sistemi corporei, causando una vasta gamma di problemi, tra cui affaticamento, nebbia cerebrale, dispnea e dolore diffuso. Recenti studi, tra cui uno condotto dalle università dell’Arizona, di Oxford e di Leeds e pubblicato su The Lancet, hanno approfondito le cause e le possibili terapie per questa condizione debilitante. I ricercatori hanno identificato diversi meccanismi biologici che potrebbero spiegare la persistenza dei sintomi del Long Covid. Tra questi vi sono la persistenza del virus originale nell’organismo, l’interruzione della normale risposta immunitaria e la coagulazione microscopica del sangue. Questi fattori possono colpire anche individui che hanno avuto solo infezioni iniziali lievi. Gli esperti sottolineano l’importanza di sviluppare e testare biomarcatori, come specifici esami del sangue, per diagnosticare e monitorare efficacemente il Long Covid. Attualmente, la gestione della condizione si concentra principalmente sull’alleviamento dei sintomi e sulla riabilitazione.
Il Long Covid è più diffuso tra le donne e le persone di basso livello socioeconomico. Anche i bambini non sono esenti da questa sindrome. La ricerca mostra che, mentre alcune persone migliorano gradualmente, altre possono convivere con i sintomi per anni. Anche dopo la vaccinazione completa e i richiami, una piccola percentuale della popolazione continua a sviluppare il Long Covid dopo un’infezione acuta da Covid-19. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), tra il 4% e il 10% della popolazione adulta negli Stati Uniti soffre di Long Covid, e 1 adulto su 10 che ha avuto il Covid sviluppa questa condizione.
(foto freepik)