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Schizofrenia, dall’UniBa uno studio per sviluppo farmaci

I dettagli dello studio pubblicato sulla rivista Neuron dall'Università degli Studi di Bari Aldo Moro

Pubblicato da: redazione | Gio, 5 Settembre 2024 - 16:22

Uno studio pubblicato sulla rivista Neuron dall’Università degli Studi di Bari Aldo Moro (Uniba) ha individuato nuovi possibili scenari per lo sviluppo di farmaci destinati a combattere la schizofrenia. La ricerca è stata condotta in collaborazione con il Lieber Institute for Brain Development (LIBD) di Baltimora e sottolinea l’importanza dell’uso della genetica e dello studio del cervello per la creazione di nuove terapie. Lo studio si basa sul modello “omnigenico” dell’architettura genetica della schizofrenia, che analizza l’intero genoma per comprendere la trasmissione ereditaria del disturbo, anziché focalizzarsi su un numero ristretto di geni associati al rischio.

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Più nel dettaglio, i ricercatori hanno dimostrato che le reti genetiche coinvolte nel funzionamento delle cellule cerebrali distribuiscono il rischio di schizofrenia lungo tutto il genoma. Questo fenomeno, tuttavia, non si osserva in altri disturbi neurologici, immunitari o neuropsichiatrici infantili. Al contrario, disturbi come quello bipolare e la depressione maggiore condividono alcune delle caratteristiche genetiche riscontrate nella schizofrenia. In particolare, gli autori dello studio hanno identificato i neuroni eccitatori degli strati superficiali della corteccia come le cellule maggiormente coinvolte nelle basi genetiche del disturbo.

Questo modello ha permesso di individuare specifici geni nelle diverse regioni cerebrali che potrebbero rappresentare nuovi bersagli per l’azione farmacologica. “Questo studio computazionale ha implicazioni pratiche significative” – ha spiegato il professor Giulio Pergola, che ha coordinato il progetto – “i risultati suggeriscono che il rischio di schizofrenia non è concentrato dove ci si aspettava, ma piuttosto in geni fino a ora trascurati, a causa del complesso funzionamento delle reti genetiche nei neuroni. Da qui possiamo avviare nuove ricerche per lo sviluppo di potenziali farmaci per trattare questo disturbo”, ha concluso.

Foto: uniba.it

 

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