Monta la polemica nel Regno Unito per il no del servizio sanitario nazionale (Nhs) all’utilizzo immediato negli ospedali pubblici di quello che viene considerato come il primo farmaco in grado di rallentare la progressione dell’Alzheimer. Ad alimentarla sono oggi in particolare i tabloid della stampa popolare, dopo le critiche già sollevate da un’associazione di famiglie di pazienti. Il farmaco in questione, un anticorpo monoclonale umanizzato in grado di indurre un’immunizzazione passiva concentrandosi sui depositi proteici nel cervello, ha ottenuto la licenza dall’Ente regolatore britannico dei medicinali (Mhra) e potrà quindi essere prescritto privatamente. Ma almeno inizialmente non sarà disponibili in ambulatori e ospedali dell’Nhs sulla base del parare di un comitato interno, il Nice, stando al quale i benefici del Lecanemab certificati dalla sperimentazione restano al momento “troppo piccoli per giustificare i costi”.
Di qui l’accusa dei tabloid di un trattamento iniquo dei pazienti, visto che la possibilità di usare il farmaco viene garantita per ora solo “ai ricchi” (o almeno ai benestanti). Negli studi clinici è emersa in effetti la capacità del medicinale di rallentare il declino cognitivo di circa un quarto nelle fasi iniziali dell’Alzheimer, stando a quanto riportano i media. Allo stesso tempo, tuttavia, esso resta non consentito nei Paesi dell’Ue, avendo di recente l’agenzia europea (Ema) respinto la raccomandazione per il Lecanemab, evocando non solo problemi di costi, ma anche un rischio di effetti collaterali ritenuto superiore, allo stato, ai benefici attesi. Lo stesso medicinale è viceversa disponibile negli Usa già dall’inizio del 2023. Ma secondo vari esperti sarebbe adatto solo a un gruppo limitato di malati di Alzheimer, meno del 10%. Non solo: a fronte dei possibili rischi di edemi ed emorragie cerebrali, la terapia va comunque monitorata regolarmente con esami di risonanza magnetica.
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