Francesca, Laura, Dalila e Alessandra. Tutti nomi di fantasia che racchiudono storie reali fatte di fragilità psichiche. Di sofferenza e spesso di emarginazione. Ma anche di voglia di riscatto. Sono loro le mani e la creatività della sartoria sociale. Il progetto ‘Ali di stoffa’, finanziato dall’8 per mille della chiesa Valdese, è nato grazie all’impegno della Cooperativa Albedo, guidata da Roberta Cardinale – e in collaborazione con la Cooperativa Spazi nuovi, diretta da Dalila Boffoli – già nel 2022. Progetto poi prolungato sempre per volontà dei primi finanziatori.
Le sartorie sociali sono molto più che un mero luogo di lavoro. Rappresentano il luogo per le nuove possibilità. Per i tessuti così come per le persone. A queste ultime, infatti, regalano una grande opportunità di crescita personale e di riscatto sociale, specie per chi si versa, suo malgrado, in condizioni di disagio o di marginalità. L’obiettivo è quello di creare posti di lavoro attraverso l’inclusività di soggetti svantaggiati favorendone l’inserimento (o il re-inserimento) lavorativo. Sono sartorie a tutti gli effetti ma garantiscono, attraverso la formazione ed il tirocinio, l’acquisizione di competenze specifiche. Cosicché, chi vi presta servizio, possa trovare un lavoro, raggiungere l’indipendenza economica e venire fuori dal contesto difficile dal quale proviene. In una sartoria sociale si intrecciano idee, storie e speranze.
“E’ stata una esperienza bellissima – ha raccontato la Cardinale con una peculiarità: questo progetto non si è limitato alla formazione ma ha puntato all’inclusione lavorativa. Tre delle quattro ragazzi che hanno partecipato al progetto, infatti, sono state assunte. La quarta ha rinunciato per ragioni personali. E non solo. “Nel successivo progetto – ha spiegato il presidente della cooperativa – abbiamo avuto la possibilità di formare altre sei donne che potranno poi essere inserite nel mondo del lavoro. Per quanti convivono con una fragilità psichica, peggio ancora se si tratta di donne, l’inserimento nel mondo del lavoro è complesso. Nonostante il grande lavoro che quotidianamente viene svolto dal welfare, in qualsiasi sua modalità, sono persone che vivono con uno stigma. Ancora oggi il pregiudizio verso di loro è tanto. Ecco perché l’inserimento del mondo del lavoro è davvero un successo”. Il progetto è stato concluso con una sfilata che si svolta lo scorso 10 luglio a Torre Quetta. E’ stata quella l’occasione per mostrare ai presenti, i lavori realizzati. Ma non basta.
“A settembre prossimo – ha aggiunto – creeremo più occasioni, magari allestendo un temporary store, per dare l’opportunità a tutti i baresi di poter affacciarsi nel mondo delle nostre ragazze. Nel loro lavoro artigianale fatto di impegno e di passione. E soprattutto del lavoro che ognuna di loro sta faticosamente svolgendo per recuperare la stima e il coraggio di vivere”. Un social shop e un laboratorio tessile e creativo, dunque, per l’inserimento sociale di persone fragili. Per dare loro una nuova opportunità e per cancellare lentamente uno stigma che ancora oggi fa male.