L’esperienza di un utente al Giovanni XIII, meglio conosciuto come l’Ospedaletto dei bambini. Più volte al centro delle polemiche. Ancora più spesso immaginato come il Gaslini del Sud Italia.
“Ore 22 di un afoso martedì estivo, bimbi che giocano in casa sul letto e tra un salto e una capriola, mia figlia di quasi 3 anni si fa male al braccio. Piange disperata, poi si tranquillizza, poi ricomincia a piangere e a non muovere il braccio. Con mia moglie, e dopo un consulto con un medico, decidiamo di metterci in auto e portare la piccola al pediatrico Giovanni XXIII per controllare che non ci siano fratture. Arriviamo intorno alle 23, dall’esterno già si intuisce l’aria che tira. Decine di persone e bimbi dentro e fuori in attesa, chi devastato dall’attesa iniziata nel pomeriggio, con bambini con febbre alta, vomito, qualcuno in sedia a rotelle, qualcuno ormai davvero esausto. Si aspetta in piedi, con in braccio i piccoli, cercando di rincuorarli: “Vedrai che tra un pochino andiamo a casa”. Una piccola bugia per provare a tenerli sereni. Facciamo il triage, nemmeno dopo una lunga attesa, codice verde e torniamo all’esterno mentre arrivano altri genitori e piccoli pazienti. Iniziano a passare i minuti e le ore, nessun cenno su quando toccherà a noi, intanto anche la nostra bimba inizia a piangere, non solo dal dolore, ma anche per il sonno e la stanchezza. A un certo punto, sento una signora lamentarsi e arrabbiarsi, quasi in lacrime. Mi avvicino e chiedo cosa è successo e mi dice: “Mio figlio è caduto, si è fatto male a una spalla ma ci hanno detto che non c’è un ortopedico in servizio e nemmeno in reperibilità, quindi oggi lo assistono alla meglio e domani mattina dobbiamo tornare”.
Erano li dalle 19 circa. A quel punto alla stanchezza si aggiunge lo sconforto: non c’è un ortopedico? E come è possibile? Perchè allora mi fanno restare qui senza darmi informazioni, tempi di massima, una minima attenzione? Cerco conferma alla informazione ricevuta da un’altra mamma e la ricevo. Niente ortopedico, tornare domani mattina. Ma non sanno manco dirmi se e quando mia figlia potrà fare almeno una lastra. La piccola non ce la fa più, nuovo consulto con il nostro pediatra, tachipirina e a notte fonda torniamo a casa, senza aver risolto nulla. Stamattina, ovviamente, io e mia moglie cerchiamo di capire come fare, tornare al pediatrico onestamente ci devasta solo al pensiero. Dopo alcuni consigli di ortopedici e pediatri, decidiamo di rivolgerci a un centro radiologico privato per escludere almeno che ci sia una frattura. Alle 14 siamo nel laboratorio, alle 14.30 abbiamo terminato alle 19 abbiamo il referto in mano. Cosi funziona, se paghi ottieni. E’ ancora il caso di parlare di sanità “pubblica”? La privatizzazione è ormai nei fatti. Certo, non tutto, non sempre è cosi, per fortuna. Ma nel 2024 non è accettabile che una città come Bari non abbia un ospedale pediatrico degno di questo nome. Diranno: pochi medici, pochi infermieri, pochi ausiliari. Vero. Ma questo lo dicono, a mia memoria, da 20 anni almeno. E dopo 20 anni (ma saranno molti di più) siamo ancora a ripetere e ascoltare questa “scusa”? Cosa è stato fatto in questi 20 anni? Ricordo una ex ministra che nel 2005 (se non sbaglio) promise “il nuovo Gaslini a Bari”. Ora, senza paragoni scomodi, almeno dateci un Pediatrico. Non è una critica al personale (mia moglie è infermiera, in ospedale pubblico), è una critica, amara, al sistema sanitario pubblico che svanisce sotto i nostri piedi. E in questo caso sono i nostri bambini a pagare. Solo questo dovrebbe bastare.