Sono in totale cinque le persone indagate a Taranto con l’accusa di aver immesso sia in mare, sia direttamente nel suolo, acque di scarico di un impianto di pescicoltura nel tentativo di risparmiare circa 360mila euro, ma inquinando una vasta area sottoposta a vincoli paesaggistici, ambientali, idrologici e demaniali caratterizzata inoltre da diversi impianti di allevamento di vongole e mitili.
Secondo quanto emerso dalle indagini portate avanti dalla Guardia Costiera, per effettuare lo sversamento e sfuggire ai controlli sarebbe stato utilizzato un bypass che permetteva la deviazione e lo sversamento delle acque di scarico prima in mare e successivamente direttamente nel suolo. I cinque sottoposti a indagine hanno ricevuto gli avvisi di garanzia con l’accusa di inquinamento ambientale, adulterazione e contraffazione di sostanze alimentare, gestione illecita di rifiuti e impedimento del controllo e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. I reflui della lavorazione industriale dello stabilimento, scaricati in mare e nel suolo, avrebbero provocato, secondo l’accusa, l’alterazione dell’ecosistema marino con la conseguente intossicazione del prodotto ittico allevato nelle zone vicine allo stabilimento.
L’impianto era già stato sottoposto a sequestro nel 2019 per occupazione demaniale abusiva con concessione della facoltà d’uso dal Tribunale a patto che il processo di smaltimento delle acque avvenisse solo in autocisterne. Nel corso delle indagini è emerso che il proprietario dello stabilimento e i suoi dipendenti avrebbero invece eluso i controlli installando, nel corso delle ore notturne, una tubatura bypass che permetteva la deviazione e dunque lo sversamento delle acque di scarico prima in mare e poi nel suolo. Secondo la Guardia Costiera sarebbe “allarmante” il fatto che siano stati immessi in mare e nel suolo batteri come escherichia-coli, scarti di mangime e feci animali oltre a sostanze chimiche come ipocloriti gravi sia per l’ambiente, sia per gli esseri viventi.
Foto repertorio