In un articolo pubblicato su Nature Communications, una squadra internazionale di scienziati dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro (UNIBA), del Lieber Institute for Brain Development di Baltimora e di collaboratori dell’NIH in USA e di Londra nel Regno Unito descrive un nuovo tipo di punteggi genetici che non solo sono associati al rischio di malattia, ma sono anche biologicamente interpretabili e potenzialmente significativi a livello individuale.
Utilizzando misure di espressione genica in cervelli post mortem, è stato identificato un gruppo di geni arricchito per la neurotrasmissione della dopamina, un processo neurochimico da tempo ritenuto importante nella psicosi e nell’attuale trattamento dei sintomi psicotici. I ricercatori hanno dimostrato che questo punteggio genetico della dopamina predice le misure di neuroimmagine della dopamina in vivo in ben cinque campioni indipendenti. Al contrario, gli altri geni ritenuti geni di rischio per la schizofrenia non hanno mostrato associazioni significative con queste misure di dopamina. I risultati suggeriscono che alcuni pazienti hanno una componente dopaminergica prominente nella loro malattia che altri non presentano. Questo approccio potrebbe costituire la prima divisione di questa malattia in sottotipi con meccanismi specifici che possono essere presi di mira per un trattamento personalizzato. Gli studi futuri esamineranno altri gruppi di geni non correlati alla dopamina che potrebbero aiutare a spiegare altre misure cerebrali e cliniche nei pazienti con schizofrenia e a diradare ulteriormente la nebbia dell’eterogeneità.
Lo studio si inserisce nel piu` ampio contesto della cosiddetta “medicina personalizzata”. Le diagnosi psichiatriche sono notoriamente sfumate. I pazienti con la stessa diagnosi di norma differiscono tra loro per molti aspetti, compresi i sintomi specifici e le misurazioni effettuate con approcci di neuroimmagine come la risonanza magnetica.
Questa variabilità rappresenta una sfida molto dura per gli scienziati che cercano di sviluppare trattamenti nuovi e più personalizzati. Nella schizofrenia, i risultati degli studi genetici hanno nutrito la speranza di spiegare alcune di queste differenze in termini di predisposizioni genetiche. Tuttavia, anche i fattori di rischio genetico differiscono tra gli individui affetti da schizofrenia. Un approccio per caratterizzare le differenze individuali nel rischio genetico è rappresentato dai cosiddetti punteggi di rischio poligenico, che sommano molte varianti genetiche per generare un numero che quantifica il rischio individuale di sviluppare la schizofrenia. Sebbene questa misura sia in grado di differenziare i pazienti dagli individui non affetti a livello di popolazione, non è utile per determinare lo stato di malattia degli individui e non mostra forti associazioni con le misure cerebrali che si pensa siano alla base del disturbo.
‘La cosiddetta ipotesi dopaminergica della schizofrenia è in auge da decenni, principalmente perché i farmaci antipsicotici agiscono soprattutto sulla dopamina, tra gli altri neurotrasmettitori’ – spiega il Prof. Giulio Pergola, che ha coordinato lo studio – ‘La novità è che abbiamo riscontrato nei cervelli post mortem indizi di questa famosa ipotesi e che questi indizi si possano utilizzare per costruire profili biologici dei pazienti, che noi abbiamo confermato mediante le neuroimmagini, in vista di futuri trattamenti personalizzati’.
Lo studio è il risultato del periodo trascorso dal Prof. Pergola al Lieber Institute for Brain Development nel corso della sua borsa Marie Curie Global Fellowship, insieme al primo autore dello studio, il Dott. Leonardo Sportelli, che svolse la tesi di laurea nell’istituto americano per poi continuare il lavoro nel corso del suo dottorato di ricerca da poco concluso presso UNIBA. Lo studio rappresenta anche uno dei primi frutti del progetto PNRR “Mnesys” diretto a UNIBA dal Prof. Bertolino, Direttore della Clinica Psichiatrica presso il Policlinico di Bari e del Dipartimento universitario di Biomedicina Traslazionale e Neuroscienze.