“Non basta nascondersi dietro un ‘la legge lo permette’. Intanto perché ci risulta che non tutti gli atenei hanno seguito questa strada. Ma il punto è politico: questo avanzamento di retribuzione fuori da ogni contesto sociale che vive il Paese, corrisponde a un avanzamento complessivo dell’università, di chi ci lavora, di chi vi studia, componenti fondamentali senza le quali non ci sarebbe rettore?”. È la riflessione che la Camera del Lavoro di Bari e la Flc Cgil dell’area metropolitana fanno in relazione al via libera dell’Università di Bari all’aumento del 128 per cento del compenso che spetta al rettore, che passerebbe con l’ok definitivo del Mef dagli attuali 72mila euro a 160. “Somme che si vanno a sommare al già allo stipendio da docente universitario – ricorda il sindacato”.
Per il segretario generale della Cgil di Bari, Domenico Ficco, e il segretario generale della FLC territoriale, Vito Fumai, “non è sufficiente affermare che chi guida l’ateneo ha la responsabilità di 3mila lavoratori e 42mila studenti. Perché se guardiamo alla condizione del personale e del diritto allo studio c’è poco da stare allegri”.
Il sindacato ricorda come nelle università italiane persistono sacche di precarietà se pensiamo ai ricercatori, con personale CEL, tecnico amministrativo e bibliotecario inquadrato ai livelli più bassi delle retribuzioni del pubbliche. “Il contesto anche a Bari è fatto di personale tecnico amministrativo, bibliotecario e cel, la spina dorsale che permette il funzionamento dell’istituzione accademica, assieme al corpo docente e ricercatore – ricordano Ficco e Fumai – il personale contrattualizzato percepisce retribuzioni annue che vanno tra i 22mila e i 25mila euro lordi. Per non parlare di chi opera nei subappalti. I nuovi livelli retributivi del rettore stridono fortemente con la realtà descritta, la stessa che vivono milioni di lavoratori in questo Paese e di studenti alle prese con caro affitti e anni di tagli al diritto allo studio”.
“Da un rettore, proprio per le responsabilità richiamate, ci aspettiamo provvedimenti che spingano a un avanzamento complessivo, non di atti che continuano ad allargare il divario tra figure apicali, percepite sempre più come privilegiate, e la base di chi vive di lavoro salariato o fa sacrifici per permettere ai propri figli di studiare. Restituisce un’immagine pessima di un servizio pubblico, di un bene comune, qual è quello della conoscenza e della formazione”.