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Turismo dentale, 200mila all’estero per impianti e protesi

Un trend in aumento

Pubblicato da: redazione | Mar, 26 Marzo 2024 - 08:43

Ricostruzione protesica fissa e mobile, impianti e cure articolate, tutto concentrato in 10 giorni. Allettati dalle pubblicità sui social e da costi contenuti, anche tre volte più bassi rispetto all’Italia, ma anche dall’incredibile rapidità degli interventi, lo scorso anno circa 200mila italiani hanno fatto le valigie per andare in Albania, Croazia, Romania, Turchia o altri Paesi per curarsi i denti. Circa il doppio rispetto all’anno prima. Un trend in aumento, stando ai dati del report Osservatorio Compass sul turismo odontoiatrico, secondo cui il 36% degli italiani sarebbe disposto ad andare oltre confine per protesi, impianti e terapie parodontali, ma purtroppo in 1 caso su 3 al rientro compaiono problemi che rendono necessario un nuovo intervento, vanificando il risparmio e le cure. Lo segnalano gli esperti della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP).

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“Il turismo dentale è un fenomeno che purtroppo non accenna a scomparire, anzi – osserva Francesco Cairo, presidente SIdP e professore di parodontologia all’Università di Firenze –. Qualche tempo fa perfino l’Ambasciata italiana a Tirana ha dovuto diramare una nota per richiamare i nostri connazionali alla prudenza nel recarsi in cliniche private albanesi per le cure dentali, perché queste quasi sempre non rispondono a standard di qualità soddisfacenti. I costi sono inferiori, anche tre volte più bassi, così molti italiani vanno all’estero per risparmiare sulle terapie odontoiatriche, ma i rischi non mancano: materiali scadenti, studi odontoiatrici non adeguatamente sicuri, carenze di farmaci possono inficiare il risultato finale, esponendo a pericoli come ascessi, infezioni, difficoltà di masticazione che poi devono essere risolti al rientro in Italia. All’estero infatti spesso si ‘taglia’ sui tempi di guarigione e sui controlli post-operatori: i modi sbrigativi – puntualizza Cairo – comportano l’inserimento di impianti in numero maggiore a quelli utili perché si dà per scontato che alcuni potrebbero non funzionare. Inoltre, le protesi sono spesso compressive delle mucose o imprecise, perché non si lascia il tempo di guarigione biologica ai tessuti ossei e gengivali.

Anche la visita si limita all’invio di una lastra, mentre la pianificazione di un piano terapeutico, richiede una anamnesi approfondita del paziente per una appropriata conoscenza delle sue condizioni cliniche”. Eppure, stando ai dati raccolti dall’Osservatorio Compass, il 36% degli italiani sarebbe disposto a curarsi all’estero e la percentuale sale al 77% in chi ha già provato l’esperienza. Chi non si fida teme un errore o ha dubbi sulla qualità delle cure. “È giusto dubitare, perché si stima che almeno una persona su tre abbia qualche problema al rientro in Italia, con conseguenze anche serie che comportano un nuovo intervento con costi che possono diventare proibitivi, assai più alti che se si fosse gestita la situazione in modo corretto fin da subito – aggiunge Cairo –. Gli esperti della British Dental Association qualche tempo fa avevano intervistato i dentisti inglesi scoprendo che il 94% di loro aveva trattato pazienti che si erano rivolti all’estero per cure dentali; nel 60% dei casi gli eventi avversi erano gravi, per esempio si erano verificate infezioni o ascessi. Si stima che ci sia un 20% di casi in cui si utilizzano materiali scadenti o non conformi, un altro 15% di casi in cui le protesi non sono funzionali o sono adattate in fretta e furia, o magari ancora funzionano, ma i tessuti di supporto sono infetti. Spesso infatti si interviene mettendo impianti, ponti o corone senza pensare a curare i tessuti di supporto e senza prima risolvere infiammazioni, granulomi o altri problemi. Tutto questo compromette la salute orale, che invece viene tutelata se i pazienti si affidano a odontoiatri italiani che eseguono una diagnosi precoce, programmano un trattamento in fasi corrette e consequenziali, garantiscono l’impiego di materiali di qualità. Adottare la soluzione più veloce e a basso costo non è sinonimo di sicurezza, né di reale risparmio”.

(Foto Freepik)

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