I sottotitoli, le parole troncate di un dialetto incomprensibile (anche per molti baresi), le immagini stridenti su un Tg nazionale e in un attimo si torma al passato. Bari torna a quel 1999 quando Alessandro Piva firmò il manifesto della città di quegli anni. Una città che aveva davvero bisogno di sottotitoli. La ‘scippolandia’, la ‘vorrei ma non posso’ anche della criminalità. Tanti boss e figli di boss pronti a premere il grilletto per la supremazia di una strada. Sempre un passo indietro alla vicina camorra partenopea. Molti di più dalla mafia siciliana e dalla ‘ndrangheta calabrese. Era il 1999 e la storia di Minuicchio e Pasquale, dei due criminali di poco conto, impegnati nel contrabbando di sigarette, spopolò in modo trasversale in una città che aveva poca voglia di riscatto. Attaccata alla tradizione della Peroni più che alla propria dignità.
A venticinque anni da una pellicola molto più umiliante che divertente, Bari è cambiata. Scelta da registi famosi come sfondo per raccontare le loro storie. E non solo storie di mafia. I simboli nostrani diventano moda. I modi di dire del comico Checco Zalone apprezzati in tutta Italia. La Bari delle orecchiette e della Peroni ora tutti sanno dove si trova. Non solo in Italia ma anche all’estero. E allora quel folklore che ancora si respira per le strade della città vecchia viene immortalato da turisti di tutto il mondo. La città vive in una bolla. Quasi tutti convinti che il ridondante e diffuso “non sai a chi appartengo” sia una frase lanciata così. Agli incroci delle strade quando si litiga per una precedenza negata. Che quasi sostituisce una parolaccia. Perché no, noi non siamo più quelli di un tempo. Non siamo più quelli che vantano conoscenze negli ambienti dei clan anche per eludere una fila alla posta. Ormai noi siamo i residenti di una città turistica, bella e dove tutti vorrebbero vivere. Persino la fiction Lolita Lobosco è ambientata a Bari. Vorrà dire pur qualcosa.
Ebbene, un giorno. Un brutto giorno di fine febbraio, Bari si risveglia indietro di 25 anni. E tant’è: oltre cento arresti e carte che raccontano di una città dove i voti si raccattano qua e là per i quartieri oscuri della città. Il risveglio è talmente brusco che il ministro Matteo Piantedosi (su ‘suggerimento’ – così dicono – di parlamentari e politici locali del centrodestra) decide di inviare una commissione per valutare lo scioglimento del Comune (a due mesi dalle elezioni). I più, gridano al complotto politico. Lo è? Forse sì, forse no. Le congetture non sono ‘affare’ dei giornalisti. Ma il cuore dei baresi si sente colpito. Lo stesso che all’indomani dell’inchiesta mormorava sorseggiando il caffè: “E mica hanno scoperto l’acqua calda”. La piazza si riempie in difesa di Decaro. E sì, è stata una bella immagine. Migliaia di persone pronte a sostenere il primo cittadino. Ma qui a Bari, non ci facciamo mancare nulla. E quindi durante la manifestazione, tra un intervento e un altro. Tra una velata (e neanche troppo) mancanza di rispetto per le istituzioni e un’altra. Tra gli applausi generali e le bandiere del Pd, prende la parola Michele Emiliano. Ed è subito… panico: “Bussa alla porta (Decaro, ndr), entra bianco come un cencio. Mi dice: ‘sono stato a piazza San Pietro e uno mi ha messo una pistola dietro la schiena’. Non abbiamo mai saputo se era una pistola o un dito molto duro, ma così è andata”, ha raccontato Emiliano. Che poi ha svelato: “Lo presi e andammo a casa della sorella di Antonio Capriati, che era il boss di quel quartiere e le dissi: ‘Te lo affido'”. Poi ha concluso: “Ricordo che dopo pochi mesi andammo a confiscare tutte le case dei Capriati in piazza San Pietro”.
La polemica si riaccende. Decaro nega quell’episodio. La città vecchia finisce sul Tg1. Vengono intervistati parenti dei Capriati. Confermano di non aver incontrato il primo cittadino con tanto di sottotitoli che scorrono. La diatriba continua in sala Dalfino dove il centrodestra riprende la parola e recupera una intervista in cui sempre Emiliano narra di questo incontro, alla presenza di Decaro. Il botta e risposta prosegue. Siamo al limite di una fiction che rischia di diventare patetica. Ed è presto spiegato: da una parte, il centrosinistra che esaspera la comunicazione a botta di video, di slogan al grido di “stringiamoci forte, siamo pronti alla morte, Decaro chiamò”. E il centrodestra? Dimentica di essere stato all’opposizione per dieci anni (venti per la precisione). E ha vigilato adeguatamente? E soprattutto a due mesi dalle elezioni, è possibile che il loro candidato sia un fantasma? Non essersi fatti trovare pronti a questo appuntamento elettorale è imperdonabile. Perché al netto delle beghe politiche, i baresi meritano programmi e meritano di immaginare (almeno di immaginare) un futuro per la città. Commedianti tragici e comici, quindi, tutti presenti – da destra a sinistra – per raccontare una città che oggi sembra meno bella. E che, rischia di diventare anche peggio.