Sono partiti alle 15 da piazza Libertà gridando alla legalità e tenendo stretti tra le mani i cartelli con su scritto “Non potevate non sapere”. Sono circa cinquanta le persone scese in piazza al fianco degli organizzatori, tra loro Sabino De Razza (di Rifondazione comunista) che dopo il terremoto politico che ha scosso la città in seguito all’inchiesta Codice Interno non solo ha portato all’esecuzione di 130 misure cautelari, ma anche a dubitare del consiglio comunale tanto da indurre il Viminale a inviare nel capoluogo pugliese una commissione che dovrà occuparsi di verificare l’eventuale presenza di infiltrazioni della criminalità e nel caso sciogliere il Consiglio.
L’obiettivo dei manifestanti è quello di accendere i riflettori su quanto accade permettendo di indagare a fondo su quanto accade in città e di sconfiggere non solo la mafia, ma anche la cultura della malavita in città. “È bene chiarire alcuni punti circa gli eventi che stanno coinvolgendo, in questi giorni, la nostra città – ha spiegato Donato Cippone, tra gli organizzatori, sui social – perché le crisi di valori e di contenuti, che attaccano nelle fondamenta il nostro tessuto sociale, si affrontano e non si negano. I termini previsti dagli artt. 143 e segg. del Tuel sono tali da rendere impossibile un accertamento degli elementi e quindi da permettere una definizione delle indagini prima dell’8 Giugno. Per cui, una eventuale decisione di scioglimento di questo Consiglio comunale in tempi compatibili con l’annullamento delle elezioni non è ipotizzabile, semmai riguarderà, almeno astrattamente, il prossimo organo consiliare. Il coinvolgimento nell’inchiesta avviata dalla procura di una consigliera comunale, di una assessora regionale, di altri ex politici locali eletti con il centrodestra e poi passati al centrosinistra evidenzia quella “pervasività” e capacità trasformistica delle organizzazioni criminali che le rende particolarmente abili ad infiltrare le istituzioni. E sarà stato proprio questo l’elemento che ha convinto i tecnici del ministero a intervenire. La nomina di una commissione è un atto dovuto: infatti, lo stesso ministero si è premurato di precisare nella serata del 19 Marzo in un comunicato stampa che la nomina di una commissione non è pregiudizialmente mirata allo scioglimento ma è volta anche, tra l’altro, a tutelare gli amministratori perbene: nel passato sono stati sciolti consigli comunali sollevando da ogni responsabilità sindaco e assessori, per esempio. Come dice l’art. 143, la procedura è attivata anche per accertare l’eventuale responsabilità degli altri funzionari e dei dirigenti dell’ente locale coinvolto: sicuramente non è il caso di Bari ma è normale che in presenza di ipotesi di scambio elettorale politico – mafioso il primo strumento di infiltrazione è costituito proprio dall’apparato dirigenziale: se un dirigente non è d’accordo, il parere favorevole su una trasformazione urbanistica non viene rilasciato. Si ribadisce: non sarà il caso di Bari, ma è necessario che una commissione accerti l’estraneità dell’apparato gestionale anche in presenza di un conclamato pericolo di infiltrazione criminale nelle istituzioni. Si tratta di una procedura che non può che avere una “natura preventiva”, diretta cioè a spezzare nell’immediatezza il legame torbido intercorrente tra potere pubblico e potere criminale: in alcuni progetti di riforma dell’art. 143 del Tuel del passato fu proposto addirittura che i poteri del consiglio rimanessero sospesi in tutto il corso delle indagini della commissione perché è sempre necessario che lo Stato dia un segnale forte e perentorio di fermezza: nel 70% dei casi di insediamento delle commissioni i fatti accertati sono gravissimi e in quasi il 50% determinano lo scioglimento” – ha evidenziato.
“Sappiamo che il sindaco di Bari e altri componenti della sua amministrazione hanno contrastato con forza la criminalità organizzata – ha aggiunto – il problema dell’infiltrazione, però, che può prescindere da una responsabilità personale è la cifra di come non si sia riusciti a costruire una rete impermeabile ai tentacoli mafiosi. Il sistema della mafiosità, paradossalmente, è più resistente di quello mafioso, perché più schivo, più subdolo, più viscido: queste sfumature lo rendono più penetrante e quando le risorse economiche arrivano a condizionare e limitare la vita dei cittadini ed approfittare delle persone in stato di bisogno, non ci sono limiti alla penetrazione. Ma i segnali ci sono: solo che per coglierli e per comportarsi di conseguenza, ci vuole sacrificio e spirito di rinuncia: bisogna saper rinunciare a una carriera politica o amministrativa, bisogna saper fare a meno del consenso e della popolarità a tutti i costi, bisogna essere in grado di riconoscere errori, anche se fatti in buona fede. Il negazionismo, di contro, è forse il fattore che facilita maggiormente l’infiltrazione. Più nego, più non riconosco, più non me ne accorgo. La cosa migliore, allora, è che il sindaco prenda di petto la situazione e dimostri di essere il più interessato a capire come sono andate le cose in maniera tale da fornire, a chi verrà dopo di lui, gli strumenti migliori per combattere questa montagna di merda che è la mafia. Quanto detto sinora non è un atto di accusa: non lo è nella sostanza e non lo è nella forma. E non ha niente a che spartire con le strumentalizzazioni che una parte politica sta portando avanti, in modo becero e ipocrita. Ma è una giusta richiesta di chiarezza per una città ed una comunità che meritano ascolto in un momento oltremodo delicato; un momento in cui è più che necessario riaffermare i valori del coraggio e della trasparenza: valori che, ci sembra, si siano offuscati e abbiano perso la loro originaria vivacità con il passare del tempo e con la continua pratica del compromesso. Il tempo delle compromissioni deve finire, ogni sospetto deve essere fugato, ogni segreto deve essere svelato. Perché il voto delle prossime amministrative dovrà essere libero, consapevole e democratico” – ha concluso.