Apicoltori in piazza a Roma per protestare contro la concorrenza sleale del miele extra Ue, in particolare quello cinese, a rischio di adulterazione e non conforme agli standard qualitativi e di sicurezza alimentare. Ma anche per lanciare il grido di aiuto di un comparto a rischio, perché legato a doppio filo alla sopravvivenza delle api, piccole lavoratrici instancabili dall’equilibrio fragile. Oltre in mille hanno colorato Piazza Santi Apostoli con le loro tute gialle, nel sit-in promosso dall’associazione apistica ‘Miele in cooperativa’. Gli apicoltori si sono presentati con i loro alveari e vasetti di miele italiano ed extra Ue a confronto. La manifestazione, ha spiegato Riccardo Babini, presidente di Miele in cooperativa, “ha lo scopo di conquistare l’indispensabile consenso, morale e sostanziale, alla nostra azione di richiesta di avviare le procedure antidumping in Europa contro il miele cinese e sensibilizzare i consumatori verso un acquisto consapevole del miele”.
Alla manifestazione sono intervenuti anche rappresentanti del Governo e della Commissione Agricoltura della Camera, parlamentari e associazioni di tutela dei consumatori, tra loro Luigi D’Eramo sottosegretario Masaf con delega all’apicoltura. I mille di oggi sono, tuttavia, solo una piccola rappresentanza di un comparto ben più ampio che conta 75mila apicoltori nazionali, con 1,6 milioni di alveari e già alle prese con l’aumento dei costi di produzione in un’annata resa difficile dai cambiamenti climatici. Ai danni causati dal maltempo si sono aggiunti quelli della siccità, che ha penalizzato le fioriture, e del caldo anomalo di questo inverno, con le api ingannate e spinte ad uscire dagli alveari senza però trovare i fiori. Una situazione sempre più insostenibile, sottolinea l’associazione: “Non siamo solo di fronte ad una concorrenza sleale, ma anche ad un prodotto non salubre e non conforme alle normative europee”. Infatti, riferiscono gli apicoltori, una recente indagine della Commissione Ue ha fatto analizzare una quota di campioni di miele importato, riscontrando che nel 46% dei casi, quest’ultimo non è conforme alle regole comunitarie a causa dell’impiego di sciroppi zuccherini che alterano il prodotto, aumentandone le quantità per abbassarne il prezzo e dell’uso di additivi e coloranti per falsificare l’origine botanica. Il numero maggiore in valore assoluto di partite sospette proveniva dalla Cina (66 su 89, pari al 74%), mentre il Paese con la percentuale più elevata di campioni di miele sospetti è risultata la Turchia (14 su 15, pari al 93%). Negli ultimi due anni l’importazione di miele si è stabilizzata sui 25/26 milioni di chili a fronte di una produzione interna stimata in circa 22 milioni di chili, secondo i dati di Miele in Cooperativa.
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