Acqua dal soffitto, muffa in casa, caldaia non a norma con finestre spalancate per non “morire per via delle esalazioni tossiche”. È così che si presenta la casa popolare di due residenti del quartiere Catino, situato alla periferia di Bari, in particolare nel Municipio 5. Dopo aver varcato la soglia di un cancello rotto, che nessuno ha mai riparato e “permette il libero accesso a chiunque”, appena prima di salire le scale del palazzo ed entrare in uno dei tanti appartamenti delle case popolari del quartiere, il silenzio per le strade è spettrale: tra palazzi fatiscenti e scoloriti, assenza di negozi e servizi (come un supermercato o una farmacia) e cittadini “sempre più soli”, in un luogo in cui i giovani vanno via e restano gli anziani, alcuni dei quali non possono neanche spostarsi e si sentono sempre più cittadini di un “quartiere fantasma”. È così che si presenta Catino ed è così che lo descrivono Antonio e Lucia (nomi di fantasia) che parlano con le lacrime agli occhi e quasi si vergognano di avere ospiti in una casa che è si, piena di difetti e crepe ben nascoste in alcuni punti (in seguito a lavori fatti a loro spese), ma anche di tanto amore e bellezza. Quello che manca però è la speranza e la fiducia nelle istituzioni che, evidenziano “ci hanno abbandonate”. Ma andiamo per gradi.
Antonio e Lucia, sono due sessantenni, uno con disabilità al 100%, l’altra con accompagnamento, che vivono da 38 anni nelle case popolari del quartiere. Negli occhi, oltre le lacrime, la tristezza e la resa, c’è tanta voglia di vivere, ma il corpo, con gli anni, ha ceduto il passo a malanni e problematiche che oggi non permettono ai due di essere attivi ma li costringe invece a sentirsi “anziani” già a 60 anni oltre che costantemente “un peso” per i figli che hanno mandato via dal quartiere, affinché non finissero nelle mani della criminalità “come tanti altri”, evidenziano. C’è proprio la criminalità tra i timori dei due, oltre al vuoto assoluto che rimbomba nelle vie del quartiere dove oggi, al contrario di quando hanno scelto di viverci, non c’è più nulla, solo degrado e abbandono. L’ultimo servizio “strappato” ai cittadini, raccontano, è quello del supermercato che, seppur non vicinissimo dal luogo in cui vivono i due, ma anche tanti altri, permetteva di sentirsi ancora un po’ più “indipendenti”. Ma non è solo la solitudine per le strade, dove presto sorgerà anche un nuovo giardino, il senso di vuoto è dovuto anche al modo in cui i due, come tanti altri, sono costretti a vivere nelle proprie case.
“Viviamo con una caldaia non a norma da anni, le infiltrazioni di acqua nei muri sia in casa, sia nel box (foto in basso) e zero servizi – raccontano – le nostre richieste sono inascoltate, la situazione è solo peggiorata e sappiamo bene che fanno solo finta di non vedere. Non meritiamo questo. Noi ci siamo ammalati vivendo qui. Ci sono infiltrazioni di acqua e umidità. La caldaia non è a norma, se l’accendiamo per stare caldi dobbiamo aprire le finestre per evitare esalazioni tossiche. Ci ammaliamo per restare vivi. Io – ha evidenziato in particolare la donna – non posso neanche lavarmi, ho fatto richiesta per la vasca in quanto ho serie problematiche per le quali ne avrei diritto, ma nessuno si è mai interessato. Sono tre anni che aspetto. Questa non è vita”. Molti dei lavori effettuati negli anni all’interno della casa sono stati a carico degli stessi, così come alcune migliorie relative agli esterni. “Mi sono rimboccato le maniche – ha spiegato l’uomo – e ho provato a migliorare qualcosa, ma non è giusto. Se avessimo potuto permetterci di comprare casa, lo avremmo fatto. Ma il fatto che viviamo in una casa popolare non ci deve relegare a cittadini di serie B. Qui accadono tante cose, i politici lo sanno, fingono di non vedere. Non vogliamo fare polemica, né pensare a male, ma nelle case popolari di Torre a Mare, dove vive un nostro parente, ci sono sempre lavori. Così come a San Pio, eppure ci divide solo un ponte. Viviamo tutti sotto lo stesso cielo. Negli anni si sono concentrati su altre zone, come su Torricella, qui sono andati via quei pochi negozi che c’erano. Non hanno pensato a noi che il quartiere lo viviamo e ci spostiamo a fatica. I mezzi di trasporto non bastano. Decaro ci ha abbandonato, tanti interventi di facciata, campetti, parchi, ma per chi? Qui la situazione è solo peggiorata, c’è bisogno di servizi, c’è bisogno di presenza delle istituzioni. Cosa abbiamo fatto per meritarci questo?” – ha concluso.
“Io mi vergogno – ha aggiunto la donna – non posso muovermi, ma non posso neanche invitare a casa gli amici, dove mi presento? Si può chiamare casa questa? Se stiamo così adesso figurati a 80 anni. Questa non è vita. L’unica gioia è aver seguito i nostri figli evitando che finissero nelle mani sbagliate, abbiamo dato tutto per loro grazie a chi 20 anni fa ci ha seguiti e ci ha fornito gli strumenti per capire cosa era giusto e cosa era sbagliato, ora stanno bene, ma sono costretti a grandi sacrifici per noi, per cose che ci spetterebbero di diritto. Abbiamo visto morire tanti giovani sotto i nostri occhi per mano della criminalità, adesso lasciano morire noi anziani facendoci vivere una vita tutt’altro che dignitosa. È un crimine anche questo” – aggiungono ancora focalizzando poi l’attenzione sull’assenza delle istituzioni e sull’invivibilità del quartiere e alla presenza della criminalità.
“Ci costringono a sentirci un peso – spiega infine la donna – prima, se avevi bisogno anche di un panino, potevi scendere, fare una passeggiata e prenderlo. Oggi dobbiamo spostarci fino a Torricella, ma non sarà possibile per sempre. Mio marito ancora guida, ma comunque non può fare grandi movimenti e spostamenti, io a fatica mi reggo in piedi. Qui non c’è niente, hanno pensato ai giovani, ma non si sono resi conto che non ne vivono più, se ne sono scappati. Siamo soprattutto anziani e non abbiamo servizi, manca una farmacia, quella più vicina sta a Torricella e non è facile arrivarci per tanti. Ci dobbiamo accontentare di un altro giardino? Hanno tolto il supermercato, ma non c’è neanche un luogo di ritrovo adatto a chi non può permettersi di stare in piedi o una posta. Dobbiamo andare fino a Santo Spirito ed è ovviamente difficile. A cosa serve il campo da rugby? A chi devono fare il favore? Avevamo un bel campo da calcio, lo hanno mandato in rovina. Sappiamo già che si faranno vedere spesso ora, per la campagna elettorale, ma non ci crediamo più a quello che promettono. Qui la criminalità opera liberamente e passa inosservata sotto gli occhi di chi sa e finge di non vedere. Cosa ce ne facciamo di un campetto verde se poi non possiamo neanche uscire dalle nostre case per paura di quello che può succedere fuori? È una vergogna” – concludono.