Impianto accusatorio confermato, fatta eccezione per l’esclusione dell’aggravante di aver favorito un’associazione mafiosa e per la concessione delle attenuanti generiche per un solo imputato. Si è concluso così, a Lecce, il processo d’appello (con rito abbreviato) all’ex gip del Tribunale di Bari, Giuseppe De Benedictis, e all’ex penalista barese Giancarlo Chiariello per corruzione in atti giudiziari con l’aggravante mafiosa per aver agevolato un gruppo di narcotrafficanti del Foggiano.
De Benedictis è stato condannato a sette anni (9 anni e 8 mesi in primo grado) per l’esclusione dell’aggravante mafiosa; Chiariello 6 anni previa concessione attenuanti generiche, esclusa l’aggravante di mafia con restituzione di oltre un milione di euro sequestrati al penalista (9 anni e otto mesi in primo grado); il figlio di Chiariello, Alberto, anche lui avvocato, a 3 anni e 1 mese (da quattro anni) con l’esclusione dell’aggravante di mafia.
Nel processo è imputato anche Danilo Pietro Della Malva, nel frattempo diventato collaboratore di giustizia, a cui sono stati inflitti 2 anni e 8 mesi (in primo grado 3 anni 8 mesi) per aver ottenuto (per il tramite del suo legale Giancarlo Chiariello) la scarcerazione da De Benedictis in cambio di una tangente. Secondo l’accusa, l’allora gip De Beneditis in cambio del danaro (fino a 30mila euro) ricevuto da Giancarlo Chiariello avrebbe emesso quattro provvedimenti di scarcerazione in favore dei clienti del penalista.
Nelle scorse udienze il pg Salvatore Cosentino aveva chiesto la conferma delle condanne inflitte in primo grado. De Benedictis è coinvolto in un altro procedimento in cui è stato condannato in primo grado a 12 anni e 8 mesi di carcere per traffico e detenzione di oltre 200 pezzi tra fucili mitragliatori, fucili a pompa, mitragliette, armi antiche e storiche, pistole di vario tipo e marca, esplosivi, bombe a mano ed una mina anticarro, oltre a circa 100.000 munizioni.
Per i legali di De Benedictis, Saverio Ingraffia e Giancarlo Schirone, quella della Corte d’appello di Lecce “è una sentenza giusta, proporzionata alla gravità dei fatti accertati che, pur mantenendo il rigore del trattamento sanzionatorio, compie un passo avanti escludendo l’aggravante della mafia che veniva vissuta quasi come infamante dal dottor De Benedictis”. “La sentenza – concludono i difensori – riconosce anche le circostanze attenuanti negate in primo grado”. Ne dà notizia l’Ansa.