Prima svendute a prezzi stracciati, ora finiscono al macero con gli agricoltori che stanno potando gli agrumeti senza più neppure raccogliere le clementine, già compromesse dalla siccità che ne ha inibito l’accrescimento, con i costi di produzione anche per l’irrigazione di soccorso schizzati alle stelle. E’ quanto denuncia Coldiretti Puglia, che chiede l’immediata attivazione del tavolo regionale di crisi per il settore agrumicolo a seguito del crack di mercato in provincia di Taranto.
Mentre i lavoratori per la raccolta sono divenuti introvabili – insiste Coldiretti Puglia – al crollo dei prezzi degli agrumi in campagna corrispondono i prezzi stellari dei costi di produzione, a causa dell’irrigazione di soccorso che si è protratta dall’estete fino ad oggi, dei rincari per le operazioni colturali, dei costi energetici fino ai fertilizzanti.
“La raccolta delle clementine è stata caratterizzata dai prezzi bassi, con le clementine vendute in campagna a 30 centesimi al chilo, di cui 15 centesimi spesi dagli agricoltori solo per far fronte alla raccolta. Il conto economico è insostenibile”, denuncia Alfonso Cavallo, presidente di Coldiretti Taranto che parla ‘dell’ennesima annata da dimenticare che ha effetti pesanti sul piano economico e occupazionale per le imprese agricole, ma anche dal punto di vista ambientale e per la salute dei consumatori, su cui è necessario intervenire con misure di trasparenza per promuovere i consumi sul mercato interno di prodotti del territorio e mettere un freno alle importazioni dai Paesi extracomunitari”.
Ma ad aggravare la situazione c’è anche l’impennata dei costi di produzione che ha colpito tutte le fasi dell’attività aziendale – insiste Coldiretti Puglia – dalle materie prime ai fertilizzanti, con spese più che raddoppiate anche per gli imballaggi, con gli incrementi che colpiscono le retine e le buste, la carta per bollini ed etichette fino al cartone ondulato per le cassette, stesso trend di rincari per le cassette in legno.
Si aggiungono i danni causati dalla concorrenza sleale – denuncia Coldiretti Taranto – con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese, spesso spinto addirittura da agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea.
“Anche per questo andremo a manifestare a Bruxelles il 26 febbraio contro accordi spesso scellerati che hanno aperto le porte ad importazioni dall’estero di agrumi con foglia – aggiunge il presidente Cavallo – senza che siano accompagnate da regolare passaporto verde, hanno causato la rapida diffusione di patologie che hanno attaccato il patrimonio arboreo e produttivo made in Italy. Ciò ha esposto il nostro territorio, oltre che alla concorrenza sleale, anche agli attacchi da parte di virus alieni, come la ‘tristeza’ degli agrumi, che arrivano da noi a causa delle ‘barriere colabrodo’ dell’UE che non controlla il materiale vegetale in entrata”.
E’ necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute, secondo il principio di reciprocità. La crisi della frutta mette a rischio non solo la salute dei cittadini ma anche il futuro delle giovani imprese agricole che hanno scelto di investire nel settore ortofrutticolo, il più gettonato dagli agricoltori under 35, aggiunge Coldiretti nel sottolineare che si tratta di una nuova generazione di imprenditori che hanno assicurato in questi anni un apporto importante dal punto di vista dell’innovazione di prodotto e della sostenibilità delle coltivazioni che non possiamo ora permetterci di perdere.
Per ridurre la volatilità e stabilizzare i prezzi occorre – conclude la Coldiretti Puglia – realizzare rapporti di filiera virtuosi con accordi che valorizzino i primati del Made in Italy e garantiscano la sostenibilità della produzione con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti.