Confartigianato rivela che l’intelligenza rischia di togliere il lavoro a 8,4 milioni di italiani. L’Ai non è altro infatti che una tecnologia che consente di simulare i processi dell’intelligenza umana attraverso la creazione e l’applicazione di algoritmi integrati in un ambiente di calcolo dinamico.
In buona sostanza l’obiettivo dell’AI è creare computer in grado non solo di agire ma anche di pensare come esseri umani.
L’impiego dell’AI in moltissimi ambiti della nostra vita non è recente, ma è oggi connotato da una maggiore velocità e pervasività. Il numero di dati e informazioni che quotidianamente riceviamo è impressionante, impossibile da elaborare per ognuno di noi ma non per una “macchina” capace di memorizzare e rielaborare il tutto in una frazione di secondi secondo le nostre indicazioni.
Utilizzando questo punto di vista, l’AI parrebbe qualcosa di assolutamente positivo, in grado di aiutarci nella vita di ogni giorno, un toccasana per l’umanità.
Ma ecco la nota dolente, l’aspetto forse più sottovalutato, ovvero l’impatto dell’AI sul lavoro.
Secondo un recente studio di Goldman Sachs, “The Potentially Large Effects of Artificial Intelligence on Economic Growth“, l’AI potrebbe prendere il posto dell’uomo e tagliare di fatto i costi in favore di un high tech work. Questo cosa vuol dire quindi? Se da un lato si è valutato quanto difatti l’AI possa portare a significativi risparmi da un punto di vista economico sul costo del lavoro; dall’altro dalle stime emerge che circa due terzi dei posti di lavoro sono esposti a qualche grado di automazione tramite intelligenza artificiale.
Parlando di dati, il 36,2% degli italiani è già coinvolto in questo processo di automazione; dato leggermente inferiore alla media europea che è del 39, 5%.
Attualmente il Paese in cui si prevede il maggior grado di esposizione all’intelligenza artificiale è il Lussemburgo con il 59,4% dei lavoratori coinvolti.
Come spiega il Presidente di Confartigianato Marco Granelli, l’AI non dovrebbe essere il fine ma semplicemente un mezzo da governare e non temere. In buona sostanza, dunque, l’intelligenza artificiale dovrebbe essere subordinata all’intelligenza umana, così che la prima diventi “strumento capace di esaltare la creatività e le competenze, inimitabili, dei nostri imprenditori”.
“Non c’è robot o algoritmo che possano copiare il sapere artigiano e simulare l’anima dei prodotti e dei servizi belli e ben fatti che rendono unico nel mondo il made in Italy”.
Ma quali sono al momento i lavori più a rischio? Sicuramente tutte le professioni legate al mondo digitale e amministrativo: in prima linea ci sono designer, ingegneri ed esperti di blockchain , a seguire tecnici dell’informazione o della comunicazione, dirigenti amministrativi o commerciali.
Di contro certamente le professioni meno sposte sono quelle che necessitano di una manualità artigianale, forse quei lavori ormai quasi dimenticati come agricoltori, autisti, meccanici, tecnici, elettricisti, idraulici; e quelli per cui c’è bisogno di creatività accompagnata da senso critico come poeti, traduttori e compositori musicali.
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