Nella mattinata odierna i Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari stanno dando esecuzione, nelle province di Bari, Foggia, Treviso e Padova, a un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Trani, su richiesta dell’A.G. inquirente che ha, altresì, disposto diverse perquisizioni.
La misura cautelare reale è stata eseguita nei confronti di due società aventi sede a Molfetta (BA) e di due indagati, nelle loro qualità di amministratore di fatto e di diritto (mero prestanome) delle predette imprese: una attiva nel settore della compravendita di immobili e dell’assunzione di partecipazioni; l’altra operante nel campo della progettazione, realizzazione e commercializzazione di impianti per la produzione di energia. Nello specifico, il provvedimento ablatorio ha ad oggetto terreni, un capannone industriale in corso di costruzione, quattro appartamenti e relative pertinenze, crediti, disponibilità finanziarie e altri beni, per un valore complessivo fino a concorrenza di oltre 14,5 milioni di euro.
I reati contestati sono quelli di cui agli artt. 223, comma 1, comma 2, n. 2), 216, comma 1, n. 1), 219 (Bancarotta fraudolenta), 226, 220 (Inosservanze da parte del fallito), comma 1, con riferimento all’art. 16, comma 2, n. 3), del R.D. 16 marzo 1942, n. 267; 11, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000 (Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte); 648 (Ricettazione) e 648-bis (Riciclaggio) del c.p..
L’odierno provvedimento si inquadra nell’ambito di più complesse indagini di polizia giudiziaria delegate dalla Procura della Repubblica di Trani al Nucleo PEF di Bari, aventi ad oggetto la gestione di molteplici società riconducibili a uno stesso “centro di interessi” familiari, attive nel settore florovivaistico e di produzione di energia. In particolare, gli immobili e i crediti oggi sequestrati costituivano asset aziendali oggetto di un’operazione societaria avvenuta tra due società molfettesi coinvolte nella vicenda giudiziaria.
Nel dettaglio, come si evince dal capo di incolpazione formulato dall’A.G. inquirente (accertamento compiuto nella fase delle indagini preliminari che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa):
– la prima società – poi dichiarata fallita dal Tribunale tranese nell’aprile del 2020 – aveva debiti per quasi 20 milioni di euro nei confronti di un’impresa controllata, derivante da una “gestione centralizzata della tesoreria” (c.d. “cash pooling”). Attraverso tale “tecnica” la “liquidità” di un “gruppo societario” viene accentrata presso un’unica società (“cash pool leader”) che è in grado di gestirla al meglio “dirottandola” verso gli altri soggetti economici che ne hanno bisogno;
– la curatela della citata controllata – parimenti dichiarata fallita nell’ottobre del 2011 dal Tribunale di Crotone – aveva promosso, inizialmente, nei confronti della controllante un procedimento civile al fine di ottenere il pagamento del credito vantato e, successivamente, richiesto un sequestro conservativo ex art. 671 del c.p.c.;
– ciò nonostante, nell’aprile del 2017, l’assemblea straordinaria della società controllante approvava una operazione societaria (c.d. “scissione parziale proporzionale”), finalizzata a trasferire a una società costituenda (mai divenuta operativa) beni di rilevante valore, tra i quali, tra gli altri, un terreno e un capannone industriale siti a Molfetta (del valore di circa 4,5 mln di euro), 3 appartamenti ubicati a Candela (del valore complessivo di oltre 1 mln di euro), crediti verso terzi per circa 1,7 mln di euro.
L’operazione societaria sopra descritta avrebbe, inoltre, consentito alla società controllante di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, con riferimento agli anni d’imposta dal 2004, per un ammontare di circa 5,4 mln di euro, comprensivo di sanzioni e di interessi, rendendo inefficace la procedura di riscossione coattiva da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Le indagini eseguite – consistite tra l’altro nell’analisi della copiosa documentazione sequestrata le cui risultanze sono state opportunamente incrociate con gli elementi informativi acquisiti nel corso delle indagini tecniche – avrebbero consentito di acquisire un grave quadro indiziario nei confronti delle 5 persone fisiche indagate, ulteriormente consolidato a seguito della consulenza tecnica disposta dai Pubblici Ministeri. Un ruolo importante, nella fase di perfezionamento dell’operazione distrattiva, sarebbe stato rivestito da una stretta collaboratrice dell’amministratore (di fatto) delle società coinvolte, la quale si adoperava fattivamente per reperire i documenti necessari a favorire la stipula dal notaio dell’atto di scissione nel più breve tempo possibile, in considerazione delle azioni giudiziarie civili pendenti.
Numerosi gli elementi investigativi acquisiti che hanno consentito di meglio “perimetrare” le condotte illecite emerse nel corso delle indagini: fra queste, si segnalano la nomina di un prestanome, la costituzione di una nuova s.r.l. (beneficiaria dell’operazione straordinaria e di fatto mai divenuta operativa), la predisposizione del progetto di scissione e la relativa stipula dell’atto con tempistiche e modalità sospette.
Come evidenziato, infatti, dal G.I.P. nel decreto di sequestro preventivo “risultano indici precisi e concordanti di un intento fraudolento messo in pratica dagli odierni indagati in danno dei creditori della società scissa, avvalendosi, in termini impropri e illeciti, dello strumento della scissione, adoperato in modo deviato rispetto ai suoi ordinari fini leciti legati all’organizzazione dell’attività d’impresa, come previsti e disciplinati dal codice civile agli artt. 2506 e ss”.
Particolare rilievo investigativo hanno assunto le intercettazioni eseguite, che avrebbero confermato il quadro indiziario ed evidenziato la progettazione di ulteriori operazioni straordinarie all’interno del “gruppo familiare”.
La complessiva ricostruzione dei rapporti intercorsi fra le varie imprese coinvolte avrebbe consentito, altresì, di accertare la corresponsione di circa 30 mila euro al “prestanome” utilizzato per perfezionare l’operazione societaria in esame. In particolare, tale somma, derivante da ulteriori condotte appropriative a danno di altre società riconducibili al medesimo contesto familiare, dopo plurime movimentazioni bancarie sarebbe stata versata alla “testa di legno” giustificando il “passaggio di denaro” con contratti di finanziamento ritenuti “simulati”.