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Nicola Pignataro si racconta: “Con me dialetto barese sdoganato”

L'attore : "Il vernacolo barese portato anche all'estero, ma ora i piccoli teatri stanno chiudendo" - VIDEO

Pubblicato da: Samantha Dell'Edera | Dom, 29 Ottobre 2023 - 09:06

“Il vernacolo barese? Lo abbiamo sdoganato noi. Prima chi parlava il dialetto era considerato un mascalzone o uno che non era andato a scuola”. Nicola Pignataro è un punto di riferimento del teatro barese, un personaggio per la città di Bari e non solo. Oggi si è raccontato alla redazione di Borderline24.

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Nicola Pignataro, quando è iniziata la sua carriera?

“Io ho iniziato nel 58, avevo 14 anni, nell’oratorio del Redentore, facendo piccoli spettacoli con i delegati di Azione Cattolica. Poi pian piano abbiamo cominciato a unirci in piccoli club, nei sottoscala o al Jolly club vicino al Petruzzelli.  Lì un giorno Piero De Vito ed Enzo Zambetta, comico e produttore, mi notarono e mi presero con loro.  Facevo alcune entrate, ma da dietro le quinte imparavo il mestiere. Poi dopo un paio di anni conobbi Rocco Servodio, il mio primo regista. Arrivò anche un impresario siciliano che era molto attivo e ci cominciò a portare fuori, in Puglia, in Basilicata. Ricordo che  ci incontravano in corso Cavour dove c’era un bar ad angolo con via Principe Amedeo. Li si riunivano tutti quelli che volevano lavorare. Arrivava Zambetta con un bus e diceva cosa serviva: un batterista, un comico. Io avevo 17 anni. E così iniziai anche a girare per l’Italia. Ma gli spettacoli erano in italiano, il vernacolo non era accettato a quei tempi. Dopodiché arrivò lo sdoganamento del dialetto barese proprio qui nel teatro Purgatorio. Era il 1974, il teatro fu fondato da Beppe Stucci. Io arrivai due anni dopo”.

Come era il teatro in quegli anni?

“Ricordo che alla fine degli spettacoli si offrivano  le pennette all’arrabbiata o pasta e fagioli.  Beppe Stucci chiamava  qui anche comici da fuori, vennero al Purgatorio  Gino Paoli,  Funari. Il problema è che comunque costavano, ed allora si decise di creare una prima compagnia teatrale con  Nico Salatino, Michele Volpicella, Gianni Ciardo. La prima esperienza non andò subito in porto. Io allora facevo il geometra all’Italcementi. Decisi di tornare e creammo un gruppo con Mariolina De Fano e Lino Spadaro. Poi arrivò anche Gianni Ciardo, anche se non rimase molto con noi. Nacque un quartetto meraviglioso, con il quale portavamo in giro il vernacolo barese. Dopo che Ciardo andò via  fondammo la cooperativa Puglia Nostra con De Fano e Spadaro. Era la fine degli anni Settanta”.

Cosa successe?

“Fu in quegli anni che iniziammo a diventare dei personaggi. Non più solo attori. Da allora oltre al teatro ho fatto anche 23 film e ho girato il mondo, per conto della Regione, come ambasciatore della puglesità. Sono andato  in Australia, Stati Uniti, Canada, Argentina, Venezuela, Brasile più Europa, anche nelle miniere del Belgio dove lavoravano gli italiani. Le miniere di carbone. Tra 28 spettacoli raggiungo il traguardo dei 4mila durante tutta la mia carriera”.

Qual è la situazione di oggi per i piccoli teatri?

“Purtroppo a Bari stanno tutti chiudendo”.

Ma dopo di voi il vernacolo barese continuerà?

“Non saprei. Perchè i tempi sono cambiati, perché l’avanspettacolo non c’è più, i nuovi fanno altro tipo di spettacolo. Stiamo fronteggiando il virus dei social dove uno mette due o tre fesserie e si crede di essere un grande attore. I giovani di oggi non sanno neanche cosa sia la pausa teatrale. Molti sono illusi”.

E nel futuro di Nicola Pignataro cosa è scritto?

“Ho 80 anni,  devo fare finalmente il viaggio di nozze con mia moglie”.

Come è stato diventare un personaggio a Bari?

“All’inizio è stata una magia, quando camminavo per strada ed ancora oggi mi chiedono foto, selfie.  Però so che il giorno in cui non succederà mi preoccuperò. Io sono contento perché so di aver fatto qualcosa per la città di Bari e per il mondo dello spettacolo”.

Cosa le hanno dato i baresi?

“Mi hanno dato tantissimo. Sono orgoglioso di aver fatto quello che ho fatto, ma consapevole che bisogna prima o poi fermarsi”.

 

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