Aprire un negozio, una missione sempre più impossibile. Caro-vita, rallentamento dei consumi e concorrenza della grande distribuzione e del web non accelerano solo le chiusure di imprese nel commercio, ma fanno crollare anche le nuove nascite. Per il 2023 si stima che abbiano tirato su la saracinesca per la prima volta solo poco più di 20mila attività nel comparto, l’8% in meno del 2022 e il numero più basso degli ultimi dieci anni: nel 2013 erano state oltre 44mila, più del doppio. A stimarlo è l’Osservatorio Confesercenti, sulla base di elaborazioni dei dati camerali.
Una crisi di denatalità che ha falcidiato il tessuto commerciale e che, senza un’inversione di tendenza, è destinata a continuare: secondo le nostre stime, il numero annuale di iscrizioni di imprese nel commercio dovrebbe scendere a poco più di 20mila già quest’anno, per arrivare a circa 11mila nel 2030.
La denatalità sui territori. Nessuna regione sfugge alla riduzione di nuove imprese del commercio, con livelli di aperture nel 2023 ovunque inferiori rispetto allo scorso anno. In Puglia nel 2013 sono state aperte 3.834 nuove attività, 2.165 nel 2022 e 2.070 nel 2023. Le aperture scendono quindi del 4% su confronto annuale ma in dieci anni sono crollate del 46%. Questo è vero soprattutto nel Lazio (-11%) e Sardegna, Campania e Sicilia (tutte a -10% rispetto al 2022). Nel confronto decennale, invece, la denatalità peggiore, in proporzione, è registrata dal Piemonte (-70% rispetto al 2013, pari a 3.201 aperture in meno). Seguono, in questa classifica negativa, la Sardegna (-67%, pari a -852 aperture), il Lazio (-62%, -2.784 neoimprese), la Sicilia (-61%, -2.360 iscrizioni). Se invece guardiamo al numero assoluto delle nuove aperture, sempre rispetto al 2013, è la Campania a registrare il calo più consistente (-4.421 nuove imprese rispetto al 2013), seguita da Piemonte (-3.201), Lazio (-2.784), Sicilia (-2.360), Lombardia e Veneto (rispettivamente -2.325 e -2.088).
I comparti. Il crollo delle nascite riguarda quasi tutte le tipologie di commercio in sede fissa, con cali particolarmente rilevanti per i negozi di articoli da regalo e per fumatori (-91%, -1.293 nuove aperture rispetto al 2013), per i gestori carburanti (-80%, 441 aperture in meno), per edicole e punti vendita di giornali, riviste e periodici (-79%, pari a -625 aperture), ma anche per i negozi di tessile, abbigliamento e calzature, che nel 2023 dovrebbero registrare solo 2.167 iscrizioni di nuove attività, -3.349 rispetto a dieci anni fa. E con la progressiva riduzione della rete di negozi, anche gli intermediari del commercio perdono pezzi: per il 2023 si prevedono solo 9.306 nuove iscrizioni, quasi la metà delle 18.149 del 2013. Tra le attività del commercio, le nascite di imprese aumentano solo nel commercio via internet, che vede esplodere le iscrizioni rispetto a dieci anni fa (6.427 quest’anno, il 188% in più). Ma è un numero assolutamente insufficiente a compensare il calo di natalità complessiva del settore (-23.320 rispetto al 2013).
Il caso del commercio ambulante. Aperture in caduta libera anche per il commercio su aree pubbliche: quest’anno il comparto dovrebbe registrare solo 3.626 nuove imprese, con un crollo di -9.377 attività rispetto al 2013. Quello del commercio ambulante è un caso particolare. La situazione dei mercati, purtroppo, appare compromessa dai dieci anni di incertezza innescati dalla questione Bolkestein. Che ha portato ad una situazione di insostenibile incertezza, che ha fatto sentire il comparto abbandonato a sé stesso e ha frenato gli investimenti, causando la chiusura di migliaia di imprese e il depotenziamento dell’offerta. Il crollo di aperture di quest’anno è il culmine di una tendenza discendente: nel 2022 le nuove imprese sono state solo 4.008, nel 2021 6.009. Numeri lontanissimi dai livelli del 2013 (13.003) e dei primi anni del decennio passato. Se il trend degli ultimi due anni si mantenesse inalterato, già nel 2025 non ci sarebbero più nuove iscrizioni. Un commercio senza futuro? Senza ricambio?
“Il Governo punta giustamente ad arginare il calo demografico adottando provvedimenti a favore delle famiglie”, commenta Confesercenti. “Una situazione simile di denatalità interessa, però, anche il mondo delle attività economiche. In generale, in Italia, si fa sempre meno impresa, e chi soffre di più è sicuramente il commercio al dettaglio. Il crollo delle nascite di nuove imprese sta accelerando il processo di desertificazione commerciale delle nostre città, privando i cittadini di servizi e i territori di ricchezza e lavoro, e la nostra economia di quei negozi e boutique che hanno fatto conoscere al mondo il Made in Italy e valorizzato le nostre produzioni. Occorre adottare provvedimenti per rigenerare il tessuto commerciale senza il quale assisteremmo ad un drammatico impoverimento dell’economia e della qualità della vita delle nostre città”.
“Aprire una nuova attività di commercio di vicinato, in un mercato crescentemente dominato da grandi gruppi e giganti dell’online, è sempre più difficile: ed i neoimprenditori, semplicemente, rinunciano, come evidente dal calo delle nuove aperture, inferiore addirittura all’anno della pandemia. Serve quindi un pacchetto di misure ad hoc per sostenere i piccoli esercizi commerciali: noi proponiamo da tempo decontribuzione per i giovani che avviano una nuova attività commerciale e un regime fiscale di vantaggio per gli esercizi sotto i 400mila euro di fatturato l’anno, magari da legare ad obblighi di formazione. Ma bisognerebbe operare con più incisività anche sul versante della rigenerazione urbana, delle piccole e grandi città, dei centri come delle periferie delle aree urbane, per contrastare desertificazione e degrado”.