Il tribunale civile di Lecce ha condannato il ministero della Giustizia a pagare un milione di euro per la morte per fumo passivo di un agente di polizia penitenziaria deceduto nel luglio 2011 a 43 anni perché, sul posto di lavoro, nel carcere di Lecce, inalava il fumo delle sigarette dei detenuti durante l’orario di lavoro. La sentenza, di cui dà notizia il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, è stata pubblicata lo scorso 5 settembre. Secondo quanto riferisce il sindacato , si tratta della prima sentenza in Italia che “ha posto fine a questa ingiustizia che si perpetrava da anni , riconoscendo le gravi colpe dei responsabili amministrativi e politici del ministero della Giustizia, che pur sapendo cosa stava avvenendo nelle carceri, nonché dei pericoli a cui andavano incontro i poliziotti nulla ha fatto negli anni, per mitigare il pericolo del fumo passivo che riempiva i corridoi delle sezioni detentivi e delle stanze dei detenuti, anche perché il ricambio dell’aria era quasi inesistente”.
Secondo quanto riferisce il Sappe, “l’agente di polizia penitenziaria, era morto per un tumore ai polmoni, dopo aver passato 21 anni della sua vita a lavorare prima a Taranto, poi a Milano e infine nella casa circondariale di Lecce, inalando fumo passivo. Nel 2012 il presidente del Sappe aveva sollevato il caso dell’assistente capo salentino scrivendo una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al presidente della Camera Gianfranco Fini al tempo in carica”. Il Sappe chiede di “installare nelle sezioni detentive il maggior numero di aeratori possibile, di riconoscere tutte le patologie contratte dai lavoratori connesse con il fumo passivo dipendenti da causa di servizio con categoria; dotare i poliziotti di presidi sanitari (mascherine) per una maggiore protezione dal fumo e prevedere una indennità specifica per i poliziotti che lavorano a contatto con la popolazione detenuta, per compensare il rischio sanitario a cui vanno incontro”. Il Sappe chiede inoltre al Presidente della Repubblica Mattarella di intervenire presso il ministro Nordio affinché non proponga nessun appello “poiché le responsabilità sono chiare e dimostrate, per cui un ricorso servirebbe solo per perdere tempo e non per fare giustizia uccidendo un’altra volta il collega morto”.