“L’Italia è il paese delle tragedie annunciate, tanti allarmi inutili su situazioni molto pericolose e gravi, poi avviene la sciagura e tutti a cercare i colpevoli che il più delle volte se la cavano senza grossi danni”. Inizia così la nota del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Puglia, in merito alle condizioni del presidio sanitario del carcere di Bari.
Dalle barriere architettoniche che non consentono ai disabili di spostarsi liberamente ai reparti che contano 24 o 25 posti letto con 120 ricoverati. Sono solo alcune delle questioni evidenziate nella nota. “Si tratta di una questione molto delicata e pericolosa – evidenziano – per cui la Regione Puglia spende tanti soldi dei contribuenti pugliesi. È possibile che un presidio sanitario abbia barriere architettoniche da non consentire ad una persona disabile di potersi spostare? Inoltre, esistono reparti che contano 24/25 posti letto mentre i ricoverati sono 120 circa? Ebbene al centro clinico di Bari presidio sanitario per la cura dei detenuti riempito oltremodo di medici e specialisti avviene tutto ciò. Nonostante il centro clinico di Bari abbia a disposizione non più di 25 posti per accogliere detenuti con patologie gravi, il DAP continua a mandare malati gravi che giungono a Bari con le ambulanze, tanto da essere arrivati ad oltre 120 detenuti malati, anche gravi, che vengono ospitati in stanze normali con altri detenuti”- evidenziano. Ma non è finita qui.
“Ancora più grave – proseguono – è la situazione di alcuni detenuti costretti sulle sedie a rotelle ospitati al primo e terzo piano del plesso che, possono spostarsi esclusivamente tramite un montacarichi (a volte guasto), e una stretta e angusta scala. Qualche volta è capitato che in occasione di ascensore guasto tali detenuti verrebbero presi in braccio ed accompagnati al piano inferiore dai piantoni addetti per effettuare le visite specialistiche. Non ci sono uscite di emergenza, per cui in caso di calamità (incendi anche dolosi provocati da detenuti psichiatrici, terremoti od altro) sarebbe praticamente impossibile evacuare i detenuti, nel fuggi fuggi generale. Più volte il SAPPE, ha segnalato tali criticità invitando i responsabili ad allocare quantomeno i detenuti disabili o non autosufficienti al piano terra, ma inutilmente, riteniamo che ciò sia ancora più grave, se tale diniego viene avanzato da personale medico” – evidenziano ancora.
“In più occasioni – proseguono – abbiamo denunciato l’impossibilità di curare i detenuti malati che giungono da ogni dove, non avendo a disposizione posti nel reparto attrezzato, chiedendo lo spostamento degli stessi in altri centri clinici più grandi ed attrezzati della nazione. Ciò anche per la sicurezza dei detenuti stessi poiché la mancanza cronica di poliziotti penitenziari, fa sì che nei turni serali e notturni le sezioni siano sguarnite per cui un solo poliziotto è costretto a vigilare sull’intera sezione, a discapito della sicurezza anche del carcere. Inoltre la presenza di tanti detenuti malati, costringono ad un lavoro immane i poliziotti del nucleo traduzioni anch’esso in gravissima e cronica deficienza organica (già oberato da altri lavori) a fare la spola con i locali nosocomi per accompagnare gli stessi che poi rimangono ricoverati ,andando ad erodere ulteriori poliziotti al carcere per lasciarlo completamente sguarnito; in molti casi 8, 9 poliziotti controllano l’intero carcere composto di 450 detenuti per 260 posti. In questa situazione è facile che una tragedia avvenga anche a breve tempo” – concludono invitando il presidente della regione Emiliano “a farsi un giro nel carcere di Bari e visitare il padiglione in cui è ubicato il centro clinico per verificare quanto denunciato e procedere con la chiusura di tutti quegli spazi che non rispondono agli standard di sicurezza e di abbattimento delle barriere architettoniche presenti presso il carcere di Bari. Come è pure necessario sfoltire l’alto numero di detenuti in carico al centro clinico, per lasciarvi solo quelli che hanno il posto, poiché è impensabile che detenuti con gravi malattie o disabilità non debbano avere i diritti costituzionali di una cura adeguata alla loro condizione” – concludono.